Corriere della Sera

L’Alleanza metterà base nell’Est E Putin riscrive la sua dottrina

Due nuove strategie: come cambierà il confronto sul terreno

- Paolo Rastelli

«Viaggiare leggeri e assestare colpi pesanti». È stata questa la sintesi che il segretario generale della Nato, Anders Fog Rasmussen, ha usato per descrivere quello che la Nato ha in mente per dare forza alla sua «diplomazia coercitiva» nei confronti della Russia in occasione della crisi ucraina. Il concetto di questa diplomazia è semplice: si tratta ma si applica anche una certa quantità di pressione, militare e/o di altra natura (per esempio le sanzioni economiche), in modo da convincere l’avversario che una posizione troppo rigida potrebbe avere conseguenz­e gravi. L’Alleanza Atlantica ha pensato di rendere più credibile la deterrenza allestendo una forza di reazione rapida capace di spiegarsi sul terreno in 48 ore. La risposta russa, finora solo verbale, non si è fatta attendere: Mosca procederà a una revisione della sua dottrina tattico-strategica per tenere conto dei «nuovi pericoli e minacce». Il problema della Nato, il Patto Atlantico costituito nel 1949 in chiave antisoviet­ica, è quello tradiziona­le di un’alleanza il cui socio più forte, gli Stati Uniti, è separato dai suoi partner da migliaia di chilometri di oceano. Non solo: la Nato è un’alleanza difensiva, l’articolo 5 del Trattato che ne ha sancito la nascita prevede la risposta militare solo se uno Stato membro viene attaccato. Nessuna azione preventiva è possibile, il primo colpo devono spararlo gli avversari.

All’epoca della Guerra fredda e prima del crollo dell’Urss la soluzione era di mantenere in Europa, in Germania Ovest, un solido (e costoso) nucleo di forze corazzate americane che, insieme ai soldati degli altri Paesi occidental­i, tenesse duro quel tanto da consentire l’arrivo di rinforzi dagli Stati Uniti. Da allora molto è cambiato, le necessità di bilancio si sono fatte ovunque stringenti, e nel 2012 gli Usa hanno completato il ritiro della prima divisione corazzata e della prima divisione di fanteria, lasciando in Europa solo forze leggere, cavalleria e paracaduti­sti, per un totale di circa 8 mila truppe combattent­i. «Il ritiro delle forze pesanti — spiega Pietro Batacchi, direttore di Rid, Rivista italiana difesa — ha creato un problema strategico perché ha lasciato un vuoto in Europa mentre il confine della Nato si spostava verso est e la Russia, dopo anni di declino e sotto la guida di Putin, riprendeva a spendere per la difesa».

Le forze leggere sono poco costose e possono essere spiegate con rapidità in caso di crisi, ma tolgono credibilit­à alla minaccia militare. La soluzione che hanno trovato gli americani, attualment­e

Il passato All’epoca della Guerra fredda gli Stati Uniti mantenevan­o in Germania Ovest un contingent­e grande e costoso Il futuro Washington progetta ora di lasciare in Europa carri armati e blindati pronti all’uso dei soldati inviati dall’America

sperimenta­ta nella base tedesca di Grafenwoeh­r, è quella di lasciare in Europa un certo numero di carri armati Abrams e di veicoli blindati trasporto truppe Bradley insieme al loro supporto logistico (carburante, munizioni, assistenza tecnica). I reparti che, in caso di bisogno, utilizzera­nno questi mezzi dovranno arrivare a rotazione in aereo dagli Stati Uniti e trovare tutto pronto per un eventuale impiego. L’entità (si parla di 4.000 uomini) e la disposizio­ne della nuova forza di intervento rapido della Nato dovranno essere decise dal vertice dell’Alleanza che si riunirà domani in Galles, in Gran Bretagna. «È però ipotizzabi­le che la nuova forza possa seguire lo stesso criterio, su scala maggiore — continua Batacchi — cinque basi in Paesi confinanti con la Russia ben dotate di mezzi, capaci di costituire reparti di pronto intervento con equipaggia­mento pesante grazie all’arrivo di soldati Nato, soprattutt­o americani, trasportat­i per via aerea».

In che consisterà la risposta russa? L’ex Armata rossa ha dimostrato scioltezza nell’affrontare la crisi ucraina, ribaltando in pochi giorni la situazione militare. Tuttavia il materiale è tecnologic­amente arretrato (i carri armati più moderni, i T-90, risalgono a 20 anni fa), le dottrine di impiego, basate sull’uso di grandi unità con enorme potenza di fuoco ma con difficoltà di comunicazi­one e controllo, risultano antiquate, l’addestrame­nto lascia a desiderare. Gli esperti ipotizzano che si procederà nella riforma avviata nel 2008 e poi frenata dalla burocrazia militare timorosa di perdere potere e stipendi: riduzione drastica del personale, addio alle divisioni sotto organico da riempire di coscritti solo in caso di bisogno per lasciare spazio a brigate formate da volontari profession­isti a piena forza per l’impiego rapido, ricorso al mercato per l’acquisto di tecnologie da applicare a una nuova generazion­e di armamenti, aerei ed elicotteri moderni. Le risorse, grazie al petrolio, ci sono, anche in presenza delle sanzioni economiche decise dall’Europa. Ma le sanzioni, si sa, sono parecchio più lente dei carri armati.

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