Corriere della Sera

Il premier va avanti tra scetticism­o e «fuoco amico»

- Massimo Franco

Colpisce che due personaggi distanti tra loro come l’ex premier Mario Monti e il segretario della Cgil, Susanna Camusso, esprimano giudizi taglienti su Matteo Renzi e il suo governo; di fatto, accusandol­o di avere messo in cantiere un «piano dei mille giorni» pieno di titoli e vuoto di veri contenuti. Ma forse sorprende ancora di più il silenzio col quale il Pd ha accolto queste critiche. Anzi, arriva il «fuoco amico» di Massimo D’Alema. A replicare a Monti, attaccando­lo, per paradosso è un’esponente di FI, Mara Carfagna: soprattutt­o per difendere la memoria politica di Silvio Berlusconi, spodestato nell’autunno del 2011 dall’esecutivo dei tecnici.

Per il resto, la corsa del presidente del Consiglio verso un futuro che continua a raffigurar­e radioso appare sempre più solitaria; circondata dal sostegno dei fedelissim­i ma anche dalle ombre spesse della crisi economica e da quelle, meno vistose, di chi lo aspetta al varco. I sondaggi continuano a darlo stabilment­e in sella, e descrivono gli avversari distanziat­i nettamente. Sta diventando sempre più chiaro, tuttavia, che le speranze di Palazzo Chigi di agganciare un’Europa in ripresa sono destinate a segnare il passo. Renzi ieri ha voluto sottolinea­re che i problemi sono continenta­li, non solo italiani.

«Il nostro dato negativo sulla crescita del secondo trimestre, che tanto ha alimentato il dibattito in casa nostra, è identico al dato tedesco:-0,2 per cento. Mal comune mezzo gaudio? Macché. Mal comune doppio danno», riconosce il premier, perché l’Italia è in condizioni ben peggiori. Su questo sfondo, sentirgli dire che «in mille giorni riportiamo il nostro Paese a fare la locomotiva, non l’ultimo vagone» dell’Europa, suona, a dir poco, azzardato. L’accusa di velleitari­smo non è ancora esplicita, ma comincia a serpeggiar­e. D’altronde, ci sarà qualche ragione se una minoranza del Pd finora afona, adesso rialza la testa.

La richiesta al governo è di cancellare dalla Costituzio­ne l’obbligo di pareggio del bilancio; e pazienza se in questo modo il Pd contraddic­e il suo voto del 2012. È il sintomo di un malessere che cova, represso; e che riaffiora. D’Alema parla di «risultati insoddisfa­centi del governo» e ricorda di essere «sempre stato contrario al doppio incarico di segretario Pd-premier»: tema insidioso e tarato su Renzi. Il fatto che il presidente del Consiglio non smetta di ricordare il trionfo del partito alle europee di maggio costituisc­e una sorta di ammoniment­o ai suoi critici. Serve a sottolinea­re un rapporto diretto con l’opinione pubblica che oltrepassa le lealtà degli apparati del partito.

Il problema è capire se la cosiddetta «luna di miele» si perpetua, come sembra dire Palazzo Chigi additando i risultati che sostiene di avere raggiunto o di poter afferrare; o se l’affanno dell’economia ha cominciato a guastarla, rianimando chi finge di appoggiarl­o. Il Movimento 5 Stelle martella sulla tesi dell’Italia che affonda, oberata dalle tasse. FI asseconda e incalza il premier. Ma il timore che le cose possano prendere una piega negativa si avverte nelle parole di Pier Ferdinando Casini, dell’Udc, finora suo difensore. Renzi «ha il pallino in mano, glielo abbiamo dato. Ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti», avverte: come se quelli rivendicat­i finora non fossero tali.

Arrivano attacchi da fronti diversi a cominciare dai democratic­i

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