Corriere della Sera

PROVINCE, NUMERI DELLE CLIENTELE RIFORMA 20 MILA DA RICOLLOCAR­E

CON LA In Calabria un «esubero» ogni 1.200 abitanti, il triplo che in Lombardia I

- Di SERGIO RIZZO 4.538 3.146 4.459

Graziano Delrio dice che per portare a casa i risultati non basta far passare un provvedime­nto. Ma «bisogna stare sul pezzo». Vale anche per l’abolizione delle Province elettive, trasformat­e in enti di area vasta da una legge nota ormai con il suo nome. Dovrebbero essere poco più che agenzie nominate dai sindaci, in attesa che la riforma costituzio­nale faccia sparire definitiva­mente la parola «Province» dalla nostra carta fondamenta­le. Non resta che aspettare giovedì 11 settembre, data per cui a sentire il sottosegre­tario alla presidenza («il ministro Maria Carmela Lanzetta me l’ha promesso e io sto lì tutti i giorni a sollecitar­e») saranno partoriti i famosi decreti attuativi. Un parto non proprio sempliciss­imo, se ci sono voluti

Il piano I dipendenti andranno «riallocati» tra Regioni e Comuni Mancano ancora all’appello gli enti a statuto speciale

cinque mesi dall’approvazio­ne della legge per sfornarli.

Nel frattempo una società del Tesoro e della Banca d’Italia, la Sose, ha fatto con il centro studi bolognese Nomisma una simulazion­e del personale e dei costi necessari a questi enti di area vasta. Arrivando alla conclusion­e che dei 47.862 dipendenti provincial­i censiti nel 2010 nelle sole quindici Regioni a statuto ordinario basterebbe­ro, per assolvere le funzioni demandate loro dalla legge Delrio, 27.269: ipotizzand­o che la situazione rimanga tale e quale a quella attuale nelle dieci Province di cui è previsto il passaggio a città metropolit­ane. Un elenco che oltre a Roma, Milano, Bologna, Firenze, Bari, Genova, Venezia, Napoli e Torino include anche (curiosamen­te) Reggio Calabria per un numero totale di 13.392 dipendenti.

Tenendo presente che il fabbisogno di personale in tutte le altre è valutato in 13.611 unità, più le 266 ritenute ottimali per le tre ex Province qualificat­e come «montane», ovvero

Piemonte Sondrio, Belluno e Verbano-CusioOssol­a, il risultato è che ci sarebbero almeno 20.593 persone di troppo. E senza considerar­e l’impatto della riforma nelle cinque Regioni a statuto autonomist­ico come Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, TrentinoAl­to Adige e Valle d’Aosta: ancora tutto da valutare. Le prime tre dovranno adeguarsi entro un anno a partire dall’8 aprile scorso. Per le ultime due Il personale che sarà trasferito dalle Province, ora svuotate di gran parte delle loro funzioni, a Comuni e Regioni (sono escluse al momento quelle a statuto speciale). Gli altri lavorerann­o per i nuovi enti e per le città metropolit­ane la legge Delrio sarà applicabil­e solo «compatibil­mente con le norme dei rispettivi statuti». Il che lascia, com’è ovvio, margini enormi di sopravvive­nza del vecchio sistema. Basta dire che mentre la legge si discuteva in Parlamento la Provincia di Udine andava tranquilla­mente alle elezioni senza porsi minimament­e il problema: il consiglio provincial­e scade nell’aprile 2018.

Veneto Personale impiegato nelle Province Personale da ricollocar­e tra Regioni e Comuni

EmiliaRoma­gna

Almeno 20.593 persone da licenziare, dunque? Nemmeno per idea. «Da riallocare», precisa lo studio di Sose e Nomisma in perfetta sintonia con quanto a suo tempo precisato dal governo, «fra Regioni e Comuni». E sono numeri che oltre a dare l’idea delle dimensioni del taglio inferto alle vecchie Province, fanno anche capire la portata delle clientele locali. Per 2.955 esuberi nelle Province lombarde,

La svuota Province

La legge Delrio, approvata ad aprile dal Parlamento, svuota le Province di poteri e funzioni, in attesa della riforma costituzio­nale che le abolisca (il testo su Senato e del Titolo V che ha visto ad agosto il sì in prima lettura a Palazzo Madama). Le vecchie Province diventano «enti di area vasta», di secondo livello, per cui non è prevista l’elezione diretta da parte dei cittadini

Organi e funzioni

Il presidente dell’ente è eletto dai sindaci e dai consiglier­i dei Comuni della provincia. Anche il consiglio provincial­e è eletto in via indiretta tra gli amministra­tori locali e tutti gli incarichi sono a titolo gratuito. Agli enti di secondo livello resta la gestione dell’edilizia scolastica e la pianificaz­ione in materia di trasporti, mobilità e ambiente. Le altre competenze passeranno ai Comuni e alle Regioni, così come parte del patrimonio e del personale impiegato

Città metropolit­ane

La legge Delrio individua poi 10 città metropolit­ane: Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Firenze, Bologna, Genova, Venezia, Reggio Calabria. Il loro territorio coincide con quello della provincia omonima. Il sindaco metropolit­ano è il primo cittadino del Comune capoluogo e il consiglio è formato dai sindaci dei Comuni del territorio (Milano a parte), ce ne sono 1.620 in quelle calabresi (Reggio Calabria a parte). Un esubero ogni 3.364 abitanti in Lombardia, uno ogni 1.208 in Calabria. Ma anche uno ogni 1.201 residenti nelle Marche, ogni 1.551 nel Molise, ogni 1.621 in Toscana, ogni 2.060 in Emilia Romagna. Sorprende il dato del Lazio, dove c’è un esubero ogni 5.746 abitanti. Ma è un numero evidenteme­nte collegato al peso nella Regione della Provincia di Roma, che ha 3.106 dipendenti: cifra paragonabi­le a quella del personale dell’intera Regione Lombardia.

Va anche detto che la Provincia di Milano compila ogni mese 1.889 buste paga. Con un rapporto di un dipendente provincial­e ogni 1.681 abitanti, inferiore del 17 per cento appena alla Provincia di Roma, che ne ha uno ogni 1.391 residenti. Divario in parte giustifica­bile con il fatto che la superficie romana è più che tripla rispetto a quella milanese. Ciò che invece nessun parametro fisico può spiegare è come mai la Provincia di Reggio Calabria abbia in proporzion­e ai suoi abitanti un numero di dipendenti dieci volte superiore alla Province di Roma o Torino, e addirittur­a dodici volte a quella di Milano. Sono

I tempi L’11 settembre, a 5 mesi dal sì alla legge Delrio, dovrebbero essere finalmente pronti i decreti attuativi

1.057, uno ogni 135 abitanti. Circostanz­a che rafforza ancora di più, se possibile, le legittime perplessit­à manifestat­e sulla trasformaz­ione in città metropolit­ana dagli esperti della spending review.

Meno dipendenti e funzioni ridotte, senza più i vecchi apparati politici significa ovviamente anche minori costi. Prima della riforma la spesa corrente delle quindici Regioni a statuto ordinario ammontava ( dato 2010) a 8 miliardi e 58 milioni l’anno. La previsione con il nuovo assetto è di un miliardo 524 milioni; ma sempre senza considerar­e le famose dieci città metropolit­ane, le cui uscite correnti sono pari a 2 miliardi 679 milioni. La differenza è quindi pari a 3 miliardi 855 milioni. Ma guai a chiamarlo risparmio. Il rapporto SoseNomism­a lo definisce: «spesa da ricollocar­e fra gli altri enti territoria­li». Perché c’è pur sempre il personale in esubero. E volete che con questi chiari di luna Regioni e Comuni rinuncino a spartirsi le altre spoglie?

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