Corriere della Sera

Salvini: la Corea del Nord? C’è uno splendido senso di comunità

«È un modello diverso, non lo demonizzo Si vedono cose che in Italia non ci sono più: i bimbi giocano in strada, non ai videogioch­i»

- Massimo Rebotti

MILANO — «Sono un tipo curioso e la Corea del Nord è uno dei luoghi meno conosciuti al mondo e quindi mi sono detto: perché no?». Il segretario della Lega Matteo Salvini è appena atterrato in Italia dopo alcuni giorni tra Pyongyang e Pechino. Era con il senatore di FI Antonio Razzi — «là lui è un’autorità assoluta, una star» — già noto per aver definito il Paese «una specie di Svizzera» e «un moderato» il dittatore Kim Jong-un.

Salvini, quello coreano è uno dei regimi più feroci al mondo secondo Amnesty internatio­nal. Perché ci è andato?

«È capitata l’occasione e l’ho colta al volo. Certo, potevo andare in vacanza in Sardegna e invece no. Volevo vedere le cose con i miei occhi, senza pregiudizi».

E cosa ha visto?

«Un Paese molto diverso dal nostro, un’opportunit­à gigantesca per i nostri imprendito­ri. Hanno bisogno di molte cose e l’embargo nei loro confronti è idiota. Pensi che ci avevano chiesto due navi da crociera e non gliele possiamo dare. È assurdo, non sono cannoni. L’embargo nei loro confronti andrebbe tolto, come alla Russia di Putin del resto».

Le differenze A Pyongyang lo Stato dà tutto: scuole, case, lavoro. Non c’è solo lo stile di vita americano

Il programma nucleare è stato considerat­o una minaccia e la situazione dei diritti umani è disastrosa.

«Premesso che non cambierei la mia vita con quella che si conduce in Corea del Nord, la pena di morte c’è anche negli Stati Uniti. E per quanto riguarda la libertà di stampa, d’accordo, lì non fanno altro che parlare del “Grande Maresciall­o” ( il leader Kim Jong-un, ndr), ma da noi non si cantano le lodi a Renzi tutti i santi giorni?». Non è proprio la stessa cosa. «Guardi, io non baratterei la mia libertà. Si tratta però di un altro modello che io non demonizzo: non indico come un inferno un sistema che non conosco. Lì lo Stato dà tutto: scuola, casa, lavoro. Insomma, al mondo non c’è solo lo stile di vita americano».

Quali altri «modelli» le interessan­o?

«La Cina, l’India. E la Russia: ci andrò in autunno. Sarò il portavoce delle imprese italiane che se ne sbattono delle sanzioni di Bruxelles e di Washington contro Putin. Nel nostro gruppo all’Europarlam­ento ( guidato dalla leader del Front national Marine Le Pen, ndr) lo diciamo spesso: bisogna guardare a Est».

E ha iniziato con la Corea del Nord?

«Sono contento di esserci andato, ho visto un senso di comunità splendido. Tantissimi bambini che giocano in strada e non con la playstatio­n, un grande rispetto per gli anziani, cose In missione Il segretario della Lega Matteo Salvini e il senatore di Forza Italia Antonio Razzi in uno degli incontri che hanno avuto nella capitale nordcorean­a Pyongyang che ormai in Italia non ci sono più». Quanto è rimasto nel Paese? «Cinque giorni. Internet e il telefonino non andavano, un’esperienza impagabile. Da sola valeva il viaggio. E poi, sia chiaro, ho pagato tutto io: cibo, alberghi, nessun costo per il contribuen­te».

E il senatore Razzi? Già altre volte aveva lodato il regime suscitando polemiche.

«Persona spumeggian­te, piena di iniziativa. In Corea è un’autorità».

Ma, in concreto, cosa siete andati a fare?

«Nella nostra delegazion­e c’erano imprendito­ri nei settori del turismo, dell’agricoltur­a, dell’edilizia: lì si possono fare affari, hanno bisogno di trattori, di motorini». Risultati ottenuti? «So che gli abbiamo venduto due milioni di piante di mele, con noi c’erano dei coltivator­i trentini».

Razzi dice che vi siete anche occupati di calcio.

«C’erano dei talent scout che hanno opzionato dei ragazzi per squadre di A e di B, l’Udinese e l’Entella, se non ricordo male. E poi abbiamo incontrato Pak Doo-Ik, l’uomo che eliminò l’Italia ai mondiali del ‘66, una pagina di storia».

Lei, da padano, ha fatto spesso il tifo contro la Nazionale.

«All’incontro indossavo la maglia del Milan, l’unica che conta per me. E qui mi fermo».

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