Bambini parcheggiati in attesa di adozione
«Èuna vittoria dei bambini», hanno detto le due madri omosessuali romane dopo il riconoscimento, da parte del Tribunale per i minorenni capitolino, del loro diritto all’adozione. Cori di esultanza delle associazioni gay, cori di indignazione della destra. Il tema spacca. E possiamo scommettere che continuerà a dividere per mesi, anni, decenni. Sia a chi esulta sia a chi si indigna, tuttavia, pare esser sfuggito un punto: la contraddizione del tribunale romano tra la sentenza in favore della coppia omosessuale ed altre ostili ai «genitori usa e getta», quei padri e quelle madri che accettano di farsi carico, per un certo periodo, di bambini destinati all’adozione e poi se li vedono togliere brutalmente anche nel caso quei bambini siano ormai così legati alla famiglia affidataria da subire nel «trasloco» presso i genitori adottivi un nuovo trauma. A volte gravissimo.
Dice infatti il verdetto contestato dai tradizionalisti che in base all’articolo 44 della legge l’adozione può esser concessa «in casi particolari... nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere con l’adulto, in questo caso genitore “sociale”, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo».
Bene: la piccola Anna (il nome, ovvio, è di fantasia) fu data in affidamento alcuni anni fa insieme a due fratellini di 2 e di 4 anni alla «casa famiglia» di due coniugi reatini che avevano già cinque figli loro e che da anni offrono la loro ospitalità e la loro esperienza ai giudici minorili quando questi devono «parcheggiare» un bambino in attesa che torni nella famiglia d’origine o sia dato in adozione.
Dicono le norme che questo periodo di affidamento può durare al massimo 24 mesi. Spiega tuttavia la deputata democratica Francesca Puglisi, nel disegno di legge teso a cambiare alcune regole rigide fino all’ottusità, che «i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco meno del 60 per cento» e l’adozione può rivelarsi un nuovo dramma. Capita infatti «non di rado che un bambino o una bambina, già provati da una prima separazione, siano sottoposti ad una seconda dolorosa frattura e “trasferiti” a una terza famiglia».
Anna, ad esempio. «Quando ce la diedero aveva solo quaranta giorni», racconta il padre affidatario. «Noi le abbiamo dato il biberon, noi le abbiamo visto spuntare il primo dentino, noi le abbiamo insegnato a camminare, parlare, disegnare... Dopo tre anni e mezzo si sentiva figlia nostra. Non bastasse aveva problemi di epilessia. Insomma, quando fu il momento di consegnarli alle famiglie adottive, i due fratellini mostrarono di potersi inserire senza problemi. Lei no. Tanto che io e mia moglie chiedemmo al giudice di dare la precedenza alla bambina e di lasciarla a noi. Niente da fare».
«Abbiamo perso in primo grado, in secondo e anche in Cassazione», spiega l’avvocato Lucrezia Mollica, da anni impegnata su questo fronte, «adesso il giudizio spetta a Strasburgo. «Il superiore e preminente interesse del minore», in questo caso, non è stato considerato affatto.
Sono tre anni che la nuova legge non riesce ad arrivare in Aula per l’approvazione. Tre anni. E intanto chissà quanti bambini sono stati strappati alle famiglie che li avevano cresciuti...