E questa volta Hercule ha accanto un partner
Finora, il detective belga Hercule Poirot era da considerarsi morto per cause naturali alla fine del romanzo Sipario. L’ultimo caso di Poirot (pubblicato da Agatha Christie nel 1975 ma scritto molti anni prima) e sepolto a Styles Court, proprio dove aveva svolto la prima indagine nel 1920. Invece l’investigatore dai baffi impomatati, resuscitato come altri suoi colleghi di fiction in questi ultimi anni (James Bond, ad esempio) è tornato alla vita. Lo incontriamo in vacanza e in piena salute a Londra, smanioso di indagare su un nuovo caso che però, stavolta, non è firmato da Agatha Christie: il brano che pubblichiamo in questa pagina è infatti l’incipit del romanzo Tre stanze per un delitto. Il ritorno di Poirot di Sophie Hannah, pubblicato da Mondadori, traduzione di Manuela Faimali (pp. 312, 18) che sarà in libreria a partire dal 9 settembre.
La scrittrice Hannah ha ottenuto l’autorizzazione degli eredi della Christie e ha riportato in vita non un’imitazione, ma il vero Poirot, proprio lui, con i suoi baffi impomatati, la mania dell’ordine (o l’occhio per i particolari in disordine), quel continuo rimuginare che egli chiama far funzionare «le celluline grigie», l’esame sistematico delle prove e un fiuto psicologico notevolissimo. D’altronde Hannah, britannica, classe 1971, è una giallista nota in tutto il mondo e ha all’attivo numerose figure di investigatori: tra i suoi romanzi sono apparsi in Italia thriller come La culla buia, Non è lui, Non è come pensi (tutti editi da Garzanti). E infatti in questo omaggio alla Christie gli ingredienti del giallo inglese ci sono tutti: la Londra dalle mille anime, popolare e aristocratica, il pub poco illuminato dove una donna spaventata annuncia una minaccia misteriosa, l’albergo lussuoso in cui verranno commessi i delitti, e la campagna inglese. In questa avventura Poirot potrà sfoggiare anche quella sua certa aria di sufficienza da fuoriclasse dell’indagine («A quanto pare, in Belgio non è considerato inappropriato gongolare»), e la sua tipica idiosincrasia per il disordine o per la cattiva educazione («Incroyable»). Anche il metodo dell’indagine investigativa è proprio quello dell’originale della Christie: osservare, ragionare, interrogare tutti i testimoni, e scovare elementi di un passato remotissimo di cui nessuno si è accorto.
Ma c’è anche una novità, introdotta dall’autrice Sophie Hannah, ed è il personaggio di Edward Catchpool, il giovane detective di Scotland Yard che in questa nuova stagione scorta Poirot sui luoghi dei delitti, indaga con lui (o ci prova), lo segue o lo precede in giro per Londra e nelle campagne a caccia del colpevole. Insomma, farà quel che faceva Watson per Sherlock Holmes. Catchpool è un bravo ragazzo, diremmo, che ammira senza riserve il celebre amico, ma in tutta onestà mostra di tanto in tanto qualche perplessità sulle deduzioni e sui ragionamenti di Poirot. E Poirot con pazienza («mon ami») riesce a farlo ricredere. Il giovane scanzonato e il lunatico celebre detective vedono il mondo in due modi diversi: Catchpool non sopporta le scene del crimine e tollera a malapena di restarvi; Poirot invece vi si trova a suo agio e studia minuziosamente angoli di tappeti, piastrelle, posizione dei corpi, bicchieri avvelenati. Proprio un caso di avvelenamento è questo Tre stanze per un delitto: una misteriosa sconosciuta, tal Jennie, turba il tranquillo pasto dell’investigatore Poirot nel suo locale preferito, il Pleasant, a Londra, rivelandogli di temere per la propria vita, di aspettarsi d’essere uccisa da un momento all’altro; il belga non fa in tempo a preoccuparsi per la giovane appena conosciuta, che riceve la notizia di un triplice delitto dai contorni inquietanti, in un albergo di lusso. E l’indagine può avere inizio.