Corriere della Sera

Non basta la moneta per ritrovare fiducia

- Di ANTONIO FOGLIA Banchiere

Caro direttore, grande attesa oggi per la risposta della Banca centrale europea agli appelli perché imbracci il bazooka monetario e spari alle nostre economie un’ulteriore dose di «monetadone». Ma quando manca la fiducia, una politica monetaria espansiva come il Quantitati­ve easing (Qe), in cui la Banca centrale compra sul mercato attività finanziari­e, è un palliativo e riesce solo a tamponare, rinviare e trasferire i problemi senza risolverli.

Il Qe gonfia i prezzi delle attività finanziari­e. La speranza è che l’effetto ricchezza induca i risparmiat­ori a spendere, sempre che si sentano rassicurat­i, invece che terrorizza­ti, da prezzi di obbligazio­ni ed azioni manipolati al rialzo dalle banche centrali.

Del resto cosa infonde più fiducia: un mercato che presenta merce scadente a prezzi gonfiati o uno che offre merce di qualità a prezzi interessan­ti? Quando lo spread Btp-Bund era sopra il 4%, studi autorevoli dimostrava­no, giustament­e, quanto fosse esagerato ma indicavano come appropriat­o un livello dello 0,5% più alto di quello attuale malgrado non siano migliorate le prospettiv­e delle nostre finanze pubbliche.

La Bce vorrebbe indurre le banche a prestare alle aziende ma scarseggia la domanda di chi il credito lo meriterebb­e e la debolezza patrimonia­le delle banche, che la crisi finanziari­a ha evidenziat­o, è stata solo parzialmen­te corretta.

Le conseguenz­e inflattive del Qe non si sono materializ­zate. C’era chi le temeva e chi le auspicava perché la deflazione rende i debiti eccessivi insostenib­ili. Ma Spagna e Irlanda hanno vissuto una correzione al ribasso del proprio costo del lavoro che ne sta rilanciand­o la competitiv­ità e hanno ristruttur­ato i debiti eccessivi che avevano accumulato (nel loro caso nel settore privato).

Sul fronte opposto, la Germania, malgrado gli impegni europei, non ha fatto la sua parte stimolando la propria domanda interna per correggere i suoi persistent­i surplus commercial­i che drenano domanda dagli altri Paesi. Non ha contribuit­o al riequilibr­io di un’Eurozona che pure si è sostanzial­mente accollata il salvataggi­o delle banche anche tedesche dalle conseguenz­e che la deflazione avrebbe dovuto avere sui crediti che avevano accumulato verso i Paesi importator­i netti. La svalutazio­ne dell’euro, che si spera il Qe induca, non migliorere­bbe gli squilibri interni all’Eurozona.

Tassi di interesse artificial­mente bassi hanno anche un effetto deprimente sulla spesa di chi conta anche sui rendimenti dei propri risparmi. E deprimono anche chi i risparmi deve cominciare ad accumularl­i e

La Bce vorrebbe indurre a prestare alle aziende, ma scarseggia la domanda di chi il credito lo meriterebb­e

non solo deve comprare titoli dai prezzi artificial­mente alti ma capisce che ne avrà un rendimento modesto. E è quindi costretto a risparmiar­e di più.

C’è chi, come Summers, attribuisc­e all’eccesso di risparmio una situazione di stagnazion­e secolare che giustifich­erebbe tassi d’interesse reali negativi e un aumento della spesa pubblica. Ma l’eccesso di risparmio è nei 18-20.000 miliardi di dollari di risparmio forzoso accumulato dagli stati sotto forma di riserve valutarie e fondi sovrani. Tutta ricchezza sottratta ai loro cittadini. E concentrat­a in portafogli enormi, quindi ingestibil­i, in mano a burocrati che dominano i mercati finanziari ma che non hanno obiettivi compatibil­i con il finanziame­nto degli imprendito­ri eventualme­nte disposti ad investire.

È bene non accendere speranze di crescita che andranno deluse: data la diminuzion­e in prospettiv­a della forza lavoro in Europa continenta­le, i tassi di crescita dei Paesi con una demografia più favorevole resteranno per noi inarrivabi­li. Possiamo però aumentare l’efficienza dei processi produttivi attraverso un migliorame­nto delle condizioni quadro del nostro Paese. Sono le riforme di cui si parla da anni e per le quali in maggio abbiamo dato un chiaro mandato all’attuale presidente del Consiglio.

Per ridare fiducia, più del torpore indotto dal «monetadone», servirebbe un lucido risveglio per affrontare la difficile realtà del nostro Paese e di un’Eurozona ancora disfunzion­ale.

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