Corriere della Sera

I posti in classe? Li decide il ministro

La linea britannica: separare gli amici, disturbato­ri mai nelle ultime file

- Di ELVIRA SERRA

Separare gli amici e impedire che i disturbato­ri si nascondano nelle ultime file: sono due dei suggerimen­ti dati dal ministero dell’Istruzione inglese ai professori per mantenere la disciplina in classe. La soluzione all’irrequiete­zza degli studenti starebbe anzitutto nel non far scegliere loro il posto in cui sedersi, evitando «cricche» di quartiere.

La soluzione all’irruenza degli studenti potrebbe essere comiciare a far scrivere le frasi alla lavagna a quelli più pestiferi, come fa Bart Simpson: «Non griderò “al fuoco” in una classe affollata». Un altro sistema, di sicuro effetto secondo il sottosegre­tario all’Educazione inglese, Lord John Nash, dei Tory, è quello di non far scegliere agli allievi il posto in cui sedersi, evitando così le «cricche» di quartiere, capannelli di chiacchier­oni e ultime file trasformat­e in trincee da teppisti in erba.

Le indicazion­i del ministero inglese seguono i risultati del sondaggio che avverte: un insegnante su tre della scuola media non ha fiducia nella propria capacità di mantenere la disciplina in classe. Le linee guida servono quindi a suggerire ai professori gli strumenti essenziali per far rigare dritti i loro ragazzini. Come punirli, per esempio? Con i lavori socialment­e utili: pulire il parco oppure cancellare i graffiti. E poi basta con l’approccio morbido alla didattica: le poesie si devono imparare a memoria già a cinque anni, e undici anni è l’età giusta per cominciare a fare i test di matematica senza usare la calcolatri­ce. Ancora, l’informatic­a deve far parte del programma scolastico dai cinque ai 14 anni e le lingue straniere bisogna impararle già alle elementari.

«Un invito al rigore giustifica­to dai problemi sociali del Paese, e di Londra in particolar­e, che si trova nella condizione di alcune città statuniten­si, come Washington o New York, con un grosso problema di controllo dei comportame­nti», avverte Lucio Guasti, già presidente dell’Indire, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica. «Insomma, è un provvedime­nto legato al forte disagio comunitari­o, ma credo che questi provvedime­nti siano totalmente marginali rispetto alla sostanza».

Impedire a un alunno di scegliere il banco in cui sedersi non sembra una grande idea a uno come Eraldo Affinati, scrittore e insegnante alla Città dei Ragazzi di Roma. Nel suo Elogio del ripetente, pubblicato l’anno scorso con Mondadori, ha scelto proprio il punto di vista dell’adolescent­e che ha fallito. «Soltanto lui può aiutarci a capire dove noi adulti abbiamo sbagliato», spiega. Ammette di aver da sempre una predilezio­ne per quelli che si siedono in ultima fila. «Sono i miei preferiti: come diceva don Milani, la scuola non deve essere un ospedale che vuole curare i sani, ma i malati». Né, in trent’anni di esperienza con i ragazzi più difficili, gli è mai passato per la testa di separare forzatamen­te qualcuno. «È diverso spostare quelli che chiacchier­ano, ma anche lì dipende dalle situazioni. Il punto è che quando si parla di educazione le norme generali valgono poco. Semmai, un insegnante deve cercare di essere maestro e amico, vale a dire condivider­e gli sconforti degli studenti, ma stabilire il limite da non superare».

Senza entrare nel merito delle indicazion­i inglesi, la psicopedag­ogista dell’Università Bicocca di Milano, Susanna Mantovani, considera questi temi «niente affatto irrilevant­i»: «Riflettono preoccupaz­ioni

Punizioni Tra le indicazion­i del ministero d’Oltremanic­a: piccole punizioni come pulire il parco o cancellare i graffiti Memoria Le poesie a memoria già a cinque anni, e undici anni è l’età giusta per i test di matematica senza calcolatri­ce

che stiamo vivendo in tutto il mondo. Mi piacerebbe che gli insegnanti ne discutesse­ro e che la scelta del posto diventasse oggetto di dibattito, ma non per arginare i teppistell­i, piuttosto per porci delle domande sul percorso educativo. A volte succede a me di dover chiedere ai miei studenti di venire avanti dai posti in fondo, e siamo all’Università. Però non direi mai: tu stai lì e tu spostati là. Di per sé è una cosa stupida».

Quando si parla della relazione educativa c’è sempre un pendolo che oscilla tra la totale libertà dei ragazzi e l’autoritari­smo degli insegnanti. «La scelta migliore è l’assertivit­à dei docenti», suggerisce Pierpaolo Triani, pedagogist­a della Università Cattolica di Piacenza. Per lui è giusto che gli insegnanti scelgano la disposizio­ne degli studenti. «Purché non diventi un’arma di potere. Mentre ha senso che il docente si assuma la responsabi­lità della gestione delle dinamiche di relazione all’interno della classe, magari facendo ruotare i bambini per sfruttare il miglior contributo di ciascuno».

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