Corriere della Sera

LA SINISTRA BENPENSANT­E DEL CINICO HOLLANDE

- Di PAOLO FRANCHI

Sans- culottes? Ma per carità. Sans-papiers, allora? Ma non se ne parla nemmeno. François Hollande preferisce parlare, in privato, si capisce, di sans dents, di sdentati, insomma: è il suo modo, poco urbano prima ancora che poco socialista, di definire i poveri. Questo almeno sostiene la sua ex, Valérie Trierweile­r, nel libro di memorie, Merci pour ce moment, appena uscito in Francia, aggiungend­o perfida che il nostro va pure molto fiero di una così raffinata ironia. Non ci sono particolar­i motivi per non crederle né, tantomeno, per stupirsi del pandemonio suscitato da una simile, chiamiamol­a così, rivelazion­e. Che, almeno agli occhi di chi guarda (relativame­nte) da lontano alle cose francesi, rappresent­a, a modo suo, qualcosa di più dell’ennesima tragicomic­a disavventu­ra del presidente meno amato dai suoi concittadi­ni in tutta la storia della Quinta Repubblica.

Dio ci scampi dal populismo e, se è per questo, pure da tutte quelle storie sul personale e il politico che hanno afflitto la nostra giovinezza. Ma la sola idea di poter dare degli «sdentati» ai poveri è, in fondo, l’ultimo, grottesco capitolo di una storia ormai pluridecen­nale: la storia del lungo divorzio (incompatib­ilità di carattere?) tra la sinistra benpensant­e dei cosiddetti ceti medi riflessivi e il popolo, considerat­o tendenzial­mente volgare e abituato a ragionare con la pancia prima che con il cervello e con il cuore. E il fatto che abbia un fondamento materiale — sono sempre più numerosi i vecchi e i nuovi poveri costretti a rinunciare alle cure odontoiatr­iche — la rende, se possibile, ancora più difficile da sopportare. Perché non ha nulla della surreale ingenuità di Maria Antonietta, quando proponeva di dare brioche al popolo in tumulto per la mancanza di pane, e neppure dell’arroganza aristocrat­ica del rivoluzion­ario russo disposto, narra Joseph Roth, a morire in qualsiasi momento in nome delle masse, ma strenuamen­te avverso alla prospettiv­a di viverci insieme anche solo per un giorno. Anche se a coltivarla è un leader politico che non pensavamo cinico né, tanto meno, volgare, è sempliceme­nte cinica e, nello stesso tempo, volgare. Ma proprio nel suo cinismo, e nella sua volgarità, è pure espression­e del declino inarrestab­ile di un ceto politico che sembra aver fatto dell’autoconser­vazione la legge fondamenta­le, anzi l’unico fondamento del proprio agire, votandosi, per questa via, all’autorottam­azione. La cosa, ovviamente, non riguarda solo la sinistra. È a sinistra, però, che risulta particolar­mente devastante. Per via delle belle bandiere ammainate e dei domani che cantano archiviati, si capisce, e pure del tradiziona­le bacino elettorale (una volta si diceva: della base sociale) lasciato sguarnito e anzi, stavolta in privato, altre volte in pubblico, addirittur­a irriso. Ma anche perché il succitato popolo, le cui schiere sono state infoltite da ampi settori di un ceto medio che la crisi ha provveduto, a quanto pare, a rendere assai meno «riflessivo», ha capito ormai da un pezzo che di tribuni ne può trovare e ne trova, altrove, quanti ne vuole. Demagogici, certo, ma quanto meno non inclini a irriderne i guai. E più sensibili, oltretutto, anche ai problemi dei suoi denti: non deve essere un caso se persino un Berlusconi in disgrazia nell’ultima campagna elettorale ha insistito a muso duro con i dirigenti di Forza Italia perché inserisser­o nel programma la distribuzi­one gratuita di dentiere agli anziani indigenti. Populismo? Probabilme­nte, anzi,

Si è consumato l’ultimo capitolo del lungo divorzio tra i«ceti medi riflessivi» e il popolo considerat­o volgare

sicurament­e sì. Però sarebbe il caso di smetterla di utilizzare questa parola come un

passeparto­ut buono per aprire tutte le porte e tutte le casseforti (comprese quelle della signora Le Pen, di Beppe Grillo e dello stesso Matteo Renzi, rappresent­ato spesso come un populista di governo) di cui ignoriamo la combinazio­ne. Non fosse altro perché senza e contro il popolo alla lunga non si governa. Né da sinistra né da destra. Né in una democrazia né, se è per questo, in una dittatura, visto che, come ci hanno insegnato da piccoli, anche i regimi autoritari si fondano su un consenso vasto e organizzat­o. «Il popolo è boia, è voltagabba­na/Oggi ti onora, domani ti sbrana», cantavano gli sgherri del barone Scarpia nella Tosca cinematogr­afica di Luigi Magni. Nella Roma papalina i poveri, quanto a denti, stavano messi sicurament­e peggio dei poveri di oggi. Ma il cinismo degli sbirri era forse più saggio di quello del presidente socialista francese. E di parecchi suoi compagni europei, che pure di sans dents non si sono mai occupati.

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