Istituti italiani, pronti 75 miliardi
Gli istituti potrebbero chiedere all’Eurotower 200 miliardi in due anni. Le penalità per chi non presterà alle aziende
Le nuove mosse della Bce, e in particolare la penalità alle banche che non prestano alle aziende, potrebbero valere fino all’1% di Pil in più in due anni.
ROMA — L’effetto sui tassi di interesse sarà positivo, come pure sui cambi, e il bilancio pubblico ne trarrà benefici. Ma più che sulla riduzione dei tassi, le attese del ministro dell’Economia che ha «molto apprezzato» la manovra di ieri della Bce, e del presidente del Consiglio, secondo il quale «un altro tassello è andato a posto», sono rivolte ai nuovi meccanismi di rifinanziamento della banca centrale. I disincentivi previsti per le banche che non “girano” il denaro raccolto dalla Bce alle imprese, e la volontà di acquistare anche Abs e covered bond, prodotti finanziari emessi dalle imprese, dicono a via XX settembre e a Palazzo Chigi, potrebbero essere decisivi per l’economia reale e far ripartire la crescita.
Le penalità per chi non impiega i fondi raccolti, per il governo, sono la miglior garanzia che la nuova liquidità finisca davvero al settore produttivo. Le banche italiane hanno prenotato 75 miliardi di euro presso la Bce da qui alla fine dell’anno (200 miliardi nel prossimo biennio). Sarebbero una boccata d’ossigeno preziosissima per la ripresa dell’economia, capace di smuovere anche il prodotto interno lordo. Secondo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, se tutti i fondi chiesti dalle banche italiane finissero nell’economia reale, sarebbe lecito attendersi un incremento aggiuntivo dell’1% del pil nel biennio.
Il governo, che sta giocando tutte le sue carte sul rilancio della crescita, ci spera ardentemente. Inutile dire che per Renzi e Padoan la manovra varata ieri da Mario Draghi è anche un punto d’appoggio politico fondamentale per spingere in Europa l’idea di politiche di bilancio meno restrittive accompagnate da investimenti e grandi riforme strutturali. «Bene così» dice Renzi a proposito di Draghi, mentre il Tesoro sottolinea come anche «la reazione positiva dei mercati e del cambio» dimostri l’efficacia dell’intervento.
Anche dal deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, che la riduzione dei tassi della Bce accelera, il governo si attende effetti positivi sull’economia reale. Una crescita importante delle esportazioni e del loro contributo al prodotto interno lordo, ma anche un po’ di inflazione importata attraverso gli acquisti sui mercati esteri.
Al di là dei risvolti politici e degli effetti sull’attività economica, le mosse della Bce avranno comunque anche una serie di conseguenze sulla politica di bilancio. La riduzione dei tassi ed il suo impatto sui cambi e sul differenziale di interesse tra i titoli di Stato modificheranno in modo importante il quadro macroeconomico, e le previsioni sulle quali si costruirà la legge di bilancio del 2015.
Nel vecchio Documento di Economia di aprile il livello dei tassi di interesse sui titoli a dieci anni, per il 2014-15, era stimato al 3,6%. Già nei mesi scorsi, però, i tassi erano scesi più in basso, e dopo gli annunci di Francoforte ieri sono ulteriormente diminuiti, con il rendimento dei Btp al 2,3%. Stesso discorso per i titoli a breve. Per il bilancio pubblico significa una minor spesa per gli interessi. Solo tra gennaio e fine luglio sono stati risparmiati 1,1 miliardi di euro rispetto alle attese iniziali, ma la flessione potrebbe accelerare con un’ulteriore riduzione dello spread. Nello scenario di aprile il governo lo prevedeva intorno ai 250 punti base per il 2014. Ma nel corso dell’estate era già sceso intorno a 150 (il livello medio previsto per il 2015), e ieri ha rotto anche quell’argine.