Corriere della Sera

Renzi: discutiamo, ma di tutto Cinque corpi di polizia sono troppi

Ai suoi spiega: ingiusto fare così per un aumento in un momento del genere «Li riceverò personalme­nte, però non accetto ricatti»

- Maria Teresa Meli

Marianna Madia (Pubblica amministra­zione) alla Festa dell’Unità (Ansa)

ROMA — Il presidente del Consiglio non se l’aspettava proprio. Lo sciopero delle forze dell’ordine è una novità assoluta e quando è giunta la notizia Matteo Renzi quasi non ci voleva credere.

Aveva appena finito di commentare positivame­nte la decisione della Bce: «Per rilanciare la crescita è un bene che ci siano tre fattori insieme, cioè la politica di Francofort­e, gli investimen­ti stabiliti dal presidente della Commission­e europea Juncker e le riforme che dobbiamo fare noi in Italia».

Quindi, ecco giungere la non buona novella. Non attesa, perché, dice il premier, «il blocco dello stipendio degli statali era già previsto nel Documento di economia e finanza, il Def, quindi non era una novità».

Secondo il presidente del Consiglio, dunque, non «c’era niente di nuovo», ma

I paletti Il capo dell’esecutivo: era già tutto previsto nel Def, non stiamo toccando la retribuzio­ne né il posto di lavoro a nessuno

le forze dell’ordine hanno annunciato lo sciopero e con questa realtà Matteo Renzi dovrà fare i conti. Anche in un frangente come questo, però, l’inquilino di Palazzo Chigi, a Newport, nel Galles, per un importante vertice della Nato, mantiene lo stile che gli è abituale: «Siamo l’unico Paese che ha cinque forze di polizia», ci tiene a sottolinea­re. Troppe, ragiona il premier con i suoi. E non la pensa così da adesso. «Cinque corpi di polizia», ripete ancora il presidente del Consiglio, rivolto ai collaborat­ori che lo hanno seguito nella sua trasferta gallese.

Comunque, nonostante l’irritazion­e per questa inedita iniziativa delle forze dell’ordine, che trattiene a fatica, perché, come si è detto, non se l’aspettava proprio, Renzi, che si tiene in costante contatto con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, si rende conto che non può sbattere la porta del dialogo. Non in questo caso. Perciò fa sapere di essere pronto a dialogare: «Il governo aprirà volentieri un tavolo di discussion­e con le forze di sicurezza, che sono fondamenta­li per la vita del nostro Paese. Se vogliono discutere, noi siamo pronti a farlo, su tutto». «Se vogliono discutere», appunto. Cioè se vogliono abbandonar­e la logica del muro contro muro e dialogare con l’esecutivo. Perché non è facile aprire un tavolo di dibattito con chi si presenta con delle posizioni pregiudizi­ali: «Riceverò personalme­nte gli uomini in divisa, ma non accetto ricatti», dice il premier, scandendo bene le parole.

Dunque, «sì al dialogo sulle esigenze e i problemi delle forze di sicurezza», ma, sottolinea il presidente del Consiglio con una certa determinaz­ione, «voglio comunque ricordare che non stiamo toccando lo stipendio, né il posto di lavoro a nessuno».

Insomma, ripete il premier, si sta soltanto attuando «quello che era già previsto nel Def per gli statali», ossia il no agli aumenti degli stipendi.

La condizione per l’apertura di una discussion­e tra governo e forze dell’ordine, però, è soprattutt­o un’altra. Ben precisa. E che di sicuro farà discutere: «Noi ci sediamo al tavolo, ma allora si parla anche del fatto che cinque corpi di polizia sono troppi».

Quindi, se tavolo ha da essere, lo sia anche su questo numero di cui il presidente del Consiglio non riesce a capacitars­i.

È un segnale indicativo, quello che il premier lancia alle forze di sicurezza. Per come ragiona Renzi, infatti, dialogare non significa cedere: non è da lui. Anzi, come da abitudine, il presidente del Consiglio rilancia e lascia intendere che si potrebbe pensare a una riforma che diminuisca il numero, a suo giudizio eccessivo, dei corpi delle forze di sicurezza. Per farla breve, se il governo è disposto ad aprire un tavolo, allora la polizia deve essere disposta anche a una «cura dimagrante».

Renzi, perciò, non ripiega, ma sferra il suo attacco. E in serbo ha un’altra critica. Tutt’altro che leggera. «In un momento di crisi per tutti, come quello che sta vivendo l’Italia — dice l’inquilino di Palazzo Chigi — fare sciopero perché non ti danno l’aumento è ingiusto». E ripete: «È ingiusto scioperare per i mancati aumenti quando ci sono milioni di disoccupat­i nel nostro Paese».

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