I vincoli della spesa cominciano a sfidare il premier «popolare»
Più elementi contribuiscono a rendere preoccupante l’annuncio dello sciopero dei sindacati delle forze dell’ordine contro il blocco del tetto degli stipendi deciso dal governo. Il primo, e più vistoso, è che per la prima volta gli uomini e le donne in divisa deciderebbero di incrociare le braccia contro una decisione dell’esecutivo. Sarebbe una scelta grave che però allunga un’ombra sui provvedimenti annunciati nei giorni scorsi: tanto più se fosse vero che a luglio Palazzo Chigi aveva dato assicurazioni opposte ai vertici di polizia e carabinieri. Il secondo aspetto è che non si tratta di un attacco proveniente dalle organizzazioni tradizionali, Cgil in testa, ma da un mondo considerato moderato e percepito come tale.
La somma di questi due aspetti porta a una riflessione più politica: nel senso che Matteo Renzi si trova a fronteggiare la prima protesta «popolare», e tendenzialmente «impopolare» per lui, da quando siede alla presidenza del Consiglio; per di più, da parte di corpi dello Stato per antonomasia. Il paradosso è che appena due giorni fa, dalle colonne del Sole 24 Ore il premier aveva teorizzato una sorta di strategia basata sulla capacità di decidere riscuotendo consensi più che resistenze. «Non credo che chi governa debba necessariamente scontentare», aveva detto. Per questo è legittimo chiedersi se la reazione annunciata dai sindacati «entro settembre», e accompagnata da una «capillare attività di sensibilizzazione» dell’opinione pubblica, fosse stata prevista; o se confermi un errore di giudizio.
Anche perché qui si va oltre lo scontento. Quando in un documento sottoscritto dai rappresentanti di tutti i corpi delegati alla sicurezza dello Stato si chiedono anche le dimissioni dei ministri, magari gli stessi che vengono scortati quotidianamente, si sfiora una rottura pericolosa. Viene messo in mora un rapporto fiduciario che evidentemente è stato dato per acquisito mentre non lo è. Renzi fa sapere che riceverà «volentieri gli agenti di polizia ma non accetterò ricatti»: anche perché «il blocco degli stipendi degli statali era già previsto nel Documento economico-finanziario». La vicenda, però, sta diventando l’emblema di un esecutivo costretto a muoversi in spazi strettissimi.
Deve rispettare il patto di Stabilità europeo ma è ossessionato dall’esigenza di non rompere la luna di miele con l’elettorato. E si trova a compiere scelte non solo dolorose ma dagli effetti imprevisti. Sono le spine della crisi economica. Ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, abbassando i tassi di interesse ha avvertito che «non c’è stimolo monetario o di bilancio in grado di rilanciare la crescita senza riforme strutturali ambiziose e forti»: un ammonimento che può offrire appigli a un Renzi determinato ad andare avanti « senza guardare in faccia nessuno». E lo spread, la differenza tra gli interessi pagati per i titoli di Stato italiani rispetto a quelli tedeschi, è sceso a 138 punti: il livello al quale era prima della crisi. I margini rimangono risicati, comunque. E l’idea di tagliare 20 miliardi di euro continua ad apparire molto ambiziosa.
La protesta seguita ieri all’annuncio del ministro alla Pubblica amministrazione, Marianna Madia, sul blocco dei «tetti» delle retribuzioni, è indicativa, sebbene Palazzo Chigi possa contare tuttora su consensi solidi. Non ha, nonostante i malumori che serpeggiano, una vera opposizione dentro il Pd; e tra gli alleati di governo nessuno è in grado di insidiarlo. Le sue difficoltà, tuttavia, sono evidenti e crescenti. L’asse con Silvio Berlusconi si consolida, sulle riforme istituzionali e sulla politica estera. Ma i ruoli sono più equilibrati di prima, se non invertiti. In precedenza, l’ex premier appariva del tutto subalterno al Pd renziano, e costretto ad assecondarne l’agenda. Ora, sembra sia Berlusconi ad allungare un’ipoteca sull’esecutivo, e a condizionarne l’esistenza. L’impressione è che la userà non per fare cadere Renzi ma per farlo durare il più a lungo possibile. Magari con la segreta speranza che si logori rapidamente.
La protesta della polizia è la punta preoccupante di resistenze crescenti