E alla Davos dell’Est tornano i veleni della Guerra fredda
Al Forum economico dell’Europa centro-orientale le tensioni tra Occidente e Mosca si trasformano in scambi d’accuse e litigi Walesa: «Ma aiutare Kiev con le armi avrebbe portato allo scontro nucleare»
KRYNICA-ZDRÓJ (Polonia) — Babele all’improvviso. I polacchi accusano, i tedeschi condannano, gli americani protestano, gli ucraini zittiscono i russi a suon di applausi, gli interpreti neanche traducono. Smarrita la lingua comune, saltati i codici del dialogo, resta un velenoso impasto di sospetti, equivoci, propaganda e rabbia. Danno collaterale della più grave crisi tra Mosca e l’Occidente dalla Guerra fredda, la regressione comunicativa dopo due decenni di faticose ricuciture è apparsa evidente al Forum economico di Krynica, l’appuntamento che dal 1990 riunisce nella «Davos dell’Est» i protagonisti della politica e del business dell’Europa centro-orientale e che quest’anno ha fotografato un’incomunicabilità tornata ai tempi di Winston Churchill: «La Russia? Un rebus avvolto nel mistero dentro a un enigma».
È la ricerca di «un sistema culturale e politico alternativo al nostro» a destabilizzarci, dice l’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski, una ricerca che contraddice il principio universalmente accettato nell’era post-sovietica: il primato della via occidentale alla democrazia. Principio oggi apertamente messo in discussione a Mosca come a Budapest e Pechino. Eppure, è con questi interlocutori che l’Occidente dovrà cercare un nuovo ordine mondiale dopo aver superato la «grande delusione», nelle parole dell’eurodeputato Janusz Lewandowski, ex commissario Ue per la Programmazione finanziaria e il Bilancio. «Dopo il 1989 — sostiene Lewandowski — l’Europa ha creduto di poter accogliere la Russia nella
I protagonisti
propria sfera di valori lasciandosi alle spalle muri e confini. Ora sappiamo che era un’utopia».
Sfere di valori e d’influenza che scontrandosi sul terreno ucraino hanno fatto esplodere le contraddizioni di un rapporto appesantito dallo storico senso di colpa europeo — in primis tedesco — nei confronti dei «liberatori» della Seconda guerra mondiale. C’è anche questo, oltre agli interessi economici e strategici, dietro certe resistenze ad andare allo scontro aperto con Mosca. «Distruggersi a vicenda non può essere la soluzione», ribatte agli appelli ad armare l’Ucraina il combattente Lech Walesa: «Un aiuto militare ai governativi avrebbe aperto la strada a una guerra nucleare». Come sostenere Kiev? «Appoggiando la modernizzazione economica e soprattutto quello spirito repubblicano dal quale sta emergendo la nostra nuova identità nazionale», dice Taras Voznyak, politologo e direttore della rivista ucraina «Ï».
Dall’altra parte, il sentimento russo di una costante demonizzazione. Tra fischi e applausi di protesta, negli interventi dell’editore Igor Korotchenko o del giornalista Maxim Shevchenko torna la contrapposizione tra «i legittimi interessi russi e le ipocrisie dell’Occidente che non ha fatto nulla per fermare il bagno di sangue in Ucraina», fino al paragone tra le aspirazioni dei separatisti armati del Donbass e le rivendicazioni autonomiste di baschi e catalani. Toni esasperati che fanno perdere di vista lo sforzo di un popolo per risollevarsi dopo il comunismo, l’implosione dell’Unione Sovietica, la perdita dello status di grande potenza sempre inseguito nella storia russa. «È questa oggi la sfida di Vladimir Putin — dice Hynek Kmonicek, capo del Dipartimento Esteri della Presidenza ceca — restituire ai russi il rispetto per il loro Paese. Dimenticando però che il futuro della Russia siamo noi».
Il sogno di un’Unione Europea che travalichi gli Urali non è tramontato.