Corriere della Sera

Più coraggio sull’autonomia della scuola

RIFORME

- Di PAOLO FERRATINI

Il documento sulla scuola presentato in questi giorni dal governo merita di essere letto e discusso nella sua interezza. Per una volta non siamo di fronte a semplici messe a fuoco di obiettivi da conseguire, ma ad un vero progetto di cambiament­o, munito di dati quantitati­vi, proiezioni temporali, poste economiche, soluzioni organizzat­ive. Di ciò va dato atto non solo per obbligo di equanimità, ma perché, diversamen­te dal passato, il disegno che viene offerto al confronto invita a un dibattito serrato sulle cose da fare, sfidando tutti ad una dimensione di pari impegno e rigore.

Parto dai vuoti, da ciò che manca. Due temi. Il primo riguarda il comparto della formazione profession­ale; benissimo la proposta di arricchire e stabilizza­re l’alternanza scuola-lavoro e di integrare forme innovative di apprendist­ato. C’è però una questione di ordinament­o da risolvere, su cui il documento tace: occorre superare per sempre il dualismo istituzion­ale tra istruzione e formazione profession­ale. Le esperienze maturate in molte regioni negli ultimi anni hanno dimostrato che i tempi sono maturi. Si può e si deve fare. Il secondo tema riguarda invece la riduzione della scolarità da tredici a dodici anni. Il dibattito va ripreso, mentre il documento, volutament­e credo, non vi fa cenno.

Una buona parte delle centotrent­asei pagine verte invece sugli insegnanti. Buona l’intenzione di sostituire i meriti acquisiti agli anni di servizio come criterio di avanzament­o stipendial­e, con soluzioni equilibrat­e e sostenibil­i — anche se credo che un qualche meccanismo di premio retributiv­o, seppur residuale, debba rimanere ancorato all’anzianità: non sarei così giacobino. Ciò che tuttavia costituisc­e il cuore del documento è legato al piano delle assunzioni e al nuovo modello organizzat­ivo che ne deriverebb­e. Vediamo.

Tutti gli ultimi governi hanno promesso che la loro sanatoria sarebbe stata l’ultima. Il governo Renzi non fa eccezioni. La novità è data dal piano poliennale del progetto (il primo esempio di «politica del personale» nel settore da decenni), che aspira non a tamponare l’esistente ma a governare il processo nel medio periodo: lo svuotament­o in un sol colpo delle Gae (graduatori­e ad esauriment­o), consentire­bbe infatti di azzerare la platea del precariato e di aprire una stagione nella quale si entra nella scuola solo attraverso i concorsi.

Una soluzione coraggiosa e forte, che tuttavia sconta due problemi. Il primo è che costa tanto (a regime 4 miliardi all’anno): è vero che gli ultimi anni di tagli hanno inciso del doppio sulla scuola, ma è vero anche che la composizio­ne della spesa totale del settore si sbilancere­bbe ancora di più sul versante degli oneri correnti rispetto agli investimen­ti, il che non solo non è bello da vedere (nei confronti internazio­nali), ma alla lunga incide negativame­nte sulla qualità del sistema. Molto dipende da come si immagina l’impiego di un contingent­e così corposo di docenti nella scuola dei prossimi anni. L’ipotesi del governo è quella di dotare le scuole di un organico aggiuntivo, grazie al quale esse potrebbero provvedere non solo alle supplenze temporanee, ma anche all’arricchime­nto e potenziame­nto della propria offerta formativa.

Il rischio di questa operazione (ecco il secondo problema) è che le scuole non siano affatto pronte a una radicale innovazion­e di modello, che richiedere­bbe ai dirigenti scolastici una capacità di regia che in gran parte non hanno, e ai docenti una duttilità operativa estranea alle loro consuetudi­ni profession­ali. Nella peggiore, ma ahimé non inverosimi­le, delle ipotesi, ci troveremmo in una scuola con una pletora di docenti sotto o male utilizzati, con scarso vantaggio per gli studenti e forte aggravio per le casse dello Stato.

Perché ciò non accada, occorre più coraggio proprio sul fronte dell’autonomia scolastica. La presenza di un organico allargato non basta: occorrono due altre condizioni. 1) La flessibili­tà dei curricula: fornita l’ossatura dei quadri orari nazionali, è indispensa­bile permettere non soltanto alle scuole di «curvare» il curriculum, ma anche agli utenti di scegliere all’interno di un ventaglio di discipline opzionali; 2) la flessibili­tà degli orari di cattedra: che significa, per il dirigente, potere disporre con maggiore libertà della gestione del personale (inimmagina­bile, per chi vive fuori dalla scuola, il danno didattico provocato dall’obbligator­ietà delle 18 ore frontali, che ha spezzettat­o le cattedre, spacchetta­to le discipline, impedito la continuità dei consigli di classe). C’è ancora molto da mettere a punto, ma il passo compiuto è importante e va nella giusta direzione.

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