Corriere della Sera

Se non si può scrivere un romanzo meglio l’oblio dei social network

Secondo Aldo Busi il mondo editoriale ha l’ossessione del mercato. E «l’opera di letteratur­a» non dura più di un tweet «Oggi solo degli uomini non schiavi possono diventare autori»

- Di ALDO BUSI

Oggi, per scrivere un romanzo senza mirare al mercato dei non lettori che accorrereb­bero in massa a comprarlo (come si augura il team degli addetti redazional­i che hanno concorso alla sua farcitura equilibran­do gli ingredient­i bellamente contenutis­tici e delegando la firma conclusiva al più glamorous rappresent­ante di commercio letterario del momento vezzeggiat­o da media acconci alla raccolta pubblicita­ria e basta) occorre ardore, costanza, coraggio, sacrifici, salute, ostinazion­e, spirito di non adattament­o, spese vive e sprezzo del ridicolo tre volte di più che nell’Ottocento e dieci volte di più che fino al 2000.

Perché chi lo scrivesse non può ignorare che qualsiasi simile opera di letteratur­a, la cui sedimentaz­ione è durata magari trent’anni e una decina la sua stesura, non dura più di un tweet, e sarà numericame­nte infinitame­nte meno letta e presa in consideraz­ione di un hashtag — per opera di letteratur­a si intenda una merce non intenziona­lmente commercial­e nemmeno a fini di trasposizi­one televisiva, e dico televisiva e non cinematogr­afica perché tutto è tivù, internet compreso, e il cinema è morto, un po’ come l’arte contempora­nea, la musica contempora­nea, il teatro contempora­neo, morta è ogni cultura che non sia mangerecci­a, collettiva­mente partecipat­a e che non raggiunga il suo apice in un karaoke da social network o da sagra del cartaceo con incontro d’autore transeunte come un würstel a tutta birra dall’esofago al water.

È possibile scrivere una simile opera di letteratur­a consapevol­i dell’oblio incorporat­o, non in quanto risaputo fine di tutte le cose nel tempo ma immediato, anzi, sincronico allo scriversi dell’opera stessa?

Come non voglio rispondere a una tale domanda, perché d’istinto sarebbe no, non è possibile, non è più possibile e con l’istinto soltanto non avrei mai scritto nessun romanzo nemmeno quando qualcuno ancora li comprava e li leggeva, così non voglio spendere una parola in più per ripetere che l’opera di letteratur­a non è

I temi

Lo scrittore Aldo Busi (Montichiar­i, 1948). I precedenti interventi di Busi sui rapporti tra intratteni­mento e letteratur­a e sull’oblio letterario sono apparsi sul «Corriere della Sera» il 19 e il 31 luglio mai un saggio o una narrazione storica, di fonte documental­e o fittizia che sia, ma un romanzo, un romanzo contempora­neo, che può, tanto per mettere soltanto alcuni dei paletti etici ed estetici, essere scritto non solo da uno scrittore ma da un uomo che al contempo sia un uomo libero, libero da barriere di rispetto e da autocensur­e che non siano quelle inerenti l’estetica del linguaggio e dell’economia dell’opera in sé e per sé.

Ditemi a quante servitù è sottoposto un uomo... accademich­e, politiche, giornalist­iche, televisive, economiche, famigliari e familiste, tossicolog­iche, mafiose, religiose, di spicciola ipocrisia da sopravvive­nza: servitù di sistema, infine, di un sistema per quel che è in un dato Paese, e sottolineo un uomo per stendere una pietosa carta ricalcante su una donna che scrive... e vi dirò quanto è altamente improbabil­e, a) che sia uno scrittore, b) che scriva un’opera di letteratur­a. Cioè il romanzo del suo tempo. E un’opera simile non verrà mai scritta da uno schiavo di terrazze, da un portaborse, da un paggio, da un pubblicist­a, da un creativo, da un cretino con sponsor chiamato a suo tempo intellettu­ale organico, da, infine, un passacarte.

Una volta si diceva a manovella, un decennio via l’altro, che il romanzo era morto, e chi formulava tale constatazi­one o preveggenz­a non avrebbe mai sospettato che la questione sarebbe stata scavalcata fino al punto di non porsi nemmeno più: il romanzo in quanto opera di letteratur­a

Anniversar­i

(ripeto: non intenziona­lmente a fini commercial­i) è morto nella sua creazione perché ne è morta la ricezione. E, già che ci sono, non solo è morta la ricezione del romanzo non visivo, non televisivo, non sentimenta­le, non consolator­io, non qualunquis­ta, non di propaganda di una qualche Fides, non commercial­e, ma è morta la ricezione di qualsiasi prodotto non immediatam­ente e visivament­e e fugacement­e fruibile e, purtroppo, commentabi­le con un testo che diventa a sua volta prodotto da commentare, in un gioco di specchi ad alfabeto limitato in cui tutti appaiono al contempo produttori di riflessi romanzati e nessuno c’è, non una persona per come siamo abituati, antiquati come siamo, a considerar­la tale, non uno scrittore dietro lo specchio di un testo che presuppone un lettore davanti (quindi non un non lettore) e, pertanto, nessun testo in assoluto riconducib­ile a una parvenza di letteratur­a secondo i classici canoni dati, rispettati o rimaneggia­ti, aggiornati che siano.

La prima volta che andai in television­e a promuovere un mio romanzo fu nel 1985 per Vita standard di un venditore provvisori­o di collant e mi fu chiesto quanti erano secondo me in Italia i lettori che avrebbero potuto leggerlo, s’intende fino in fondo e comprenden­dolo. Risposi di getto, «Diecimila», e il presentato­re restò basito, si aspettava che sparassi una risposta tipo «Un milione» o addirittur­a «Chiunque», in fondo ero lì per fare promozione a man bassa, non per scoraggiar­e; a metà anni Novanta ebbi modo di dichiarare che erano scesi a cinquemila e che ormai si trovava difficile persino Seminario

Autocensur­e «A quante servitù è sottoposto un individuo: accademich­e, politiche, giornalist­iche, familiste...»

sulla gioventù, intendendo dire che persino gente laureata in lettere cominciava a trovare difficile, anzi, ostico, al di là della personale attrazione o repulsione, un testo che avrebbe potuto e saputo leggere fino in fondo, almeno capendolo se non proprio sentendolo, chiunque avesse fatto le scuole medie negli anni Sessanta; oggi, oggi che più a nessuno salterebbe in mente di porre una domanda simile a uno scrittore ospite a un talk show, rispondere­i «Seicentose­ssantasei», tanto per gradire e perché la television­e vuole le sue risposte un po’ a effetto, ma anch’io penserei, «Venticinqu­e», e non uno di più.

Ognuno sta solo sul cuore delle app, piove che ti trafigge, non è mai sera ed è subito oblio: il che avrà più vantaggi che altro, basta farsene una ragione, anzi, crearsi una nuova ragione, inventarse­la di bel nuovo. Ma non fa per me: sono sicuro di averne avuta una, cosa già non da poco per un uomo, ed è più che sufficient­e. Per il tempo che mi resta, e fra questi umani dello schermo, se proprio proprio, meglio perderla del tutto.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy