L’italianista che amò Dante e fece conoscere Sollers
Era nata a Besançon, ma Roma l’aveva scelta da decenni con la passione di chi si stupisce che questo sentimento non sia universale. Jacqueline Risset è morta il 3 settembre, aveva 78 anni e una vita interamente declinata a interpretare in modo attivo, e spesso intransigente, il ruolo di intellettuale. Perfino definire il suo lavoro è difficile: è stata una poetessa, una saggista, una italianista, docente di letteratura francese all’Università degli Studi Roma Tre, a lungo direttrice del Centro di studi italo-francesi.
Probabilmente deve parte della sua notorietà ai cinque anni, tra il 1985 e il 1990, dedicati alla traduzione in francese della Divina Commedia, pubblicata da Flammarion. Una rivoluzione rispetto a quella storica di André Pezard, che risaliva al 1959, uscita quasi in contemporanea con quella poetica, rigorosa e priva di apparati di Jean Charles Vegliante. «Improvvisamente — avrebbe raccontato — vidi la Divina Commedia come un viaggio iniziatico, e lo è».
L’esordio letterario, nel 1971, coincide con la lunga militanza nella rivista laboratorio «Tel Quel», punto di riferimento dell’avanguardia poetica francese. Ma già nel 1972 pubblica in Italia, con Bulzoni, il primo saggio L’invenzione e il modello. L’orizzonte della scrittura dal petrarchismo all’avanguardia. Il primo di una serie che doveva portarla agli studi su Dante, riuniti poi nel suo Dante, una vita (Rizzoli, 1995). Ma l’Alighieri non ha esaurito la passione per la letteratura italiana che l’ha portata a spaziare da Machiavelli (sua la traduzione del Principe nel 2001) a Federico Fellini, curando l’edizione francese de L’intervista e di Cinecittà.
Non si dava pace della poca considerazione che la Francia riservava a Giacomo Leopardi o dell’alterna «fortuna» di Alessandro Manzoni. Con la stessa tenacia ha voluto proporre al pubblico italiano le sue traduzioni dei libri di Philippe Sollers, o i poeti di «Tel Quel», L’autrice e saggista Jacqueline Risset (Besançon, 1936 – Roma, 2014), curò una celebre traduzione della Commedia curando opere come il Dialogo incompiuto tra Bataille e Sartre.
Era arrivata a Roma la prima volta per una gita pasquale dell’École Normale Superiéure di Parigi, scegliendola pochi anni dopo: prima Trastevere, poi la bella casa di Piazza Vittorio. «È una città imprevedibile» ripeteva, in un Paese, l’Italia dove «tutto poteva rinascere». E Roma la ricorda stamani alle 13.30 nel «suo» Centro di studi francesi di piazza Campitelli.
pfallai