Caccia al Leone
Favoriti «Birdman» e Konchalovsky Consensi per Munzi, Germano in lizza
VENEZIA — Droni e Leoni. Ultimo giorno della Mostra. La roulette dei premi gira vorticosamente, tutti puntano le loro fiches ma solo stasera sapremo chi avrà vinto il Leone. Ultimo film del concorso, Good Kill (accolto dalla stampa con fischi e qualche timido applauso) di Andrew Niccol, la guerra telecomandata degli aerei da combattimento «ciechi», senza finestrini. Inutili perché il pilota non è a bordo ma dall’altra parte del pianeta, in una base del Nevada vicino Las Vegas, seduto in poltrona davanti a una console modello playstation, joystick alla mano per puntare il laser, inquadrare l’obiettivo e: tre, due, uno… Fuoco! Bel colpo! Dissipata la polvere dell’esplosione, il monitor svela il risultato. Anche se la conta dei morti non è facile, dato che i corpi sono andati in troppi pezzi.
Talebani, ma anche civili. La donna che poco prima impastava il pane, il bambino che giocava a palla… «Danni collaterali», li definisce il burocratico linguaggio militare. Vite lontane 11mila chilometri, abbattute con un colpo di pulsante. Un nuovo modo di combattere. Da fermi, a due passi da casa, senza rischi. «La cosa più pericolosa che mi possa capitare è rovesciarmi addosso il caffè», commenta amaro Tommy Egan (Ethan Hawke), ex top gun in Iraq e Afghanistan, a disagio in quel nuovo ruolo. Gli manca il volo, il senso della paura, il contatto reale con il nemico. Si sente un codardo. Non era per questo che si era arruolato. Ma i tempi sono cambiati, i suoi colleghi sono reclutati con altri criteri, scelti tra i campioni di videogames. «La perdita di sensibilità verso gli esseri umani fa parte dell’addestramento della guerra dei droni», spiega il regista, che prima di girare ha raccolto molte testimonianze sul campo.
«Una volta, prima di tornare a casa dal fronte, un militare ci metteva anche un anno — ricorda Ethan Hawke —. Un periodo di decompressione salutare che piloti come Tommy non hanno. Sono degli impiegati della morte. Al mattino fanno colazione con la famiglia, si mettono alla “scrivania”, ammazzano decine di persone, vanno a prendere i bambini a scuola, si fanno il barbecue».
Una vita schizofrenica dove distinguere il giusto dall’ingiusto, si fa sempre più difficile. Se lo stress sale, ci si aiuta con la coca o con la vodka. A rendere ancora più tesa la situazione, il passaggio sotto gli ordini della Cia. Non più missioni contro un nemico identificato ma solo in base a comportamenti sospetti. Il ventaglio si fa sempre più largo, sempre più a rischio per gli innocenti. «Ecco perché noi americani siamo tanto odiati, e ci odieranno anche di più — riflette il comandante —. Siamo il vivaio dei terroristi».
Il film non risparmia neanche Obama, accusato di aver sostenuto l’uso dei droni pur se Nobel della Pace. «Se dopo l’11 settembre era comprensibile la reazione di Bush, molto meno lo è la sua. Peraltro con l’assenso bipartisan del Congresso». Tra le battute drammaticamente più attuali quella sul Pentagono che, stanco di video dove i marines denunciano la politica Usa prima di essere decapitati in diretta, opta per i droni. Meno pericoli al fronte, più consensi in patria.
Fortunatamente più tranquillo il fronte del Lido. Qualche dissenso in giuria pare non sia mancato, ma fa parte del pepe di ogni festival. Il tanto amato dai critici The look of silence di Oppenheimer sul genocidio in Indonesia sembra non aver convinto i giurati. Più papabili sarebbero Birdman di Iñárritu e 99 Homes di Bahrani. Un verdetto più sofisticato potrebbe premiare il «Piccione» filosofo di Andersson, mentre Le dernier
di Delaporte potrebbe trovare la sua carta vincente nella musica di Mahler, certo amatissima dal presidente Desplat. E all’ultimo entra nella rosa anche Konchalovsky con le poetiche notti bianche del suo «Postino».
Visti i consensi riscossi da Munzi, Costanzo e Martone, attendersi un premio per l’Italia non è fuori luogo. Elio Germano miglior attore per Leopardi? O Adam Driver per Hungry Hearts? Ma i concorrenti sono tanti, da Michael Keaton a Tahar Rahim, da Andrew Garfield a Benoît Poelvoorde o Viggo Mortensen… Meno affollata la lista femminile. A brillare potrebbe essere la protagonista di Red Amnesia, Lu Zhong, 74 anni. Una corona sarebbe quanto mai appropriata per questa imperatrice del cinema cinese.