E LA SINISTRA SI SCOPRE SUPERFICIALE
«Che sarà mai», la sinistra italiana non l’ha mai detto. Lo dice ora con Renzi. Ora che incontra Berlusconi al Nazareno; quando deve commentare le negative variazioni del Pil; o quando c’è da replicare alla copertina dell’Economist, quella del gelato. Per l’« unfit » appioppato a Berlusconi venne giù il mondo e l’allora premier dovette impegnarsi in una causa per diffamazione, che poi perse. Ora invece la musica è cambiata. Che sarà mai! «Preferisco rispondere con leggerezza», ha spiegato Renzi citando Calvino e leccando allegramente il suo cono crema e limone. Prima di lui, la sinistra ha sempre drammatizzato, storicizzato, problematizzato, ma mai si è autorappresentata leggera e volutamente superficiale. Buonista, semmai. Ma Veltroni, che pure ha contribuito non poco all’alleggerimento, si è comunque portato dietro un carico pesante di nostalgie. E poi ha aggiunto, più che sottrarre: ha messo dentro i Kennedy e Jovanottini senza mai togliere Berlinguer, tanto per dire. E invece quando Renzi ha fatto entrare quel carretto di gelati nel Palazzo, tutto è cambiato. Col dessert servito ai giornalisti non c’è stata più storia per la polenta classista di Bertolucci o per la crostata all’inciucio di D’Alema. Il quale ora critica il governo e lamenta scarsi risultati? E che sarà mai. «Ha fatto il suo tempo», dice la renziana Serracchiani. Una sinistra che un tempo si vantava di essere laica e progressista, anche se non sempre lo è stata, ora è dunque orgogliosa di dirsi leggera e finanche superficiale. In Il desiderio di essere come Tutti, l’ultimo libro di Francesco Piccolo, «di sinistra» per autodefinizione, ad esempio, la laicità è assente come parola e come concetto. E di progressismo neanche a parlarne. La superficialità, di contro, c’è sempre: dalle prime alle ultime pagine. Ad un certo punto, Piccolo addirittura se la sposa, essendosi essa incarnata in Chesaramai, la sua compagna nella vita reale.
Nel libro, Piccolo la chiama proprio così: Chesaramai. E spiega perché. Perché è un continuo e realistico invito a non prendertela, al «che vuoi che sia». Quello di Chesaramai è un altro modo, più benevolo e indulgente, di vivere la vita. Nulla a che vedere, si direbbe, col galleggiamento qualunquistico o col sugherismo terzista; o con la leggerezza di Italo Calvino, troppo elitaria; o con quella di Milan Kundera, troppo colpevole; piuttosto un omaggio alla «forza delle cose», a quell’idea per niente snob che fu di Goffredo Parise e che Francesco Piccolo fa ora sua. Quando Berlusconi vince le elezioni la prima volta, Chesaramai non drammatizza. «Passerà», dice. Mentre tutti gli altri «di sinistra» già si disperano, perché pensano che la storia sia finita lì, come quando hanno ammazzato Moro, come quando è morto Berlinguer. Ed è finita? Macché.
La laicità implica una distinzione. Come la tolleranza, l’altro da tollerare. E dunque si porta dietro l’impegno, la storia, la nostalgia dei padri e delle generazioni migliori, e tanta, troppa cultura politica. La superficialità, teorizza Piccolo, ti consegna invece al presente. Essa ha tanta legittimità di esistere quanto la profondità. Per certi versi, anzi, ti responsabilizza di più e meglio. L’impegno come opposto della superficialità, si legge ancora nel libro, aveva un suo quid quando la sinistra era parte minoritaria e perdente della società; quando più si impegnava, più si distingueva moralmente e più si isolava politicamente. Ma oggi? Oggi che la sinistra è, se non «Tutti», come il titolo del libro suggerisce, di sicuro più del 40 per cento dei votanti, perché continuare ad avere la puzza al naso? Oggi non è l’avversario che scaraventa la superficialità addosso alla sinistra, perché non tiene conto delle compatibilità o perché insegue chimere o perché non le insegue abbastanza. Oggi è la sinistra che se la prende e se la porta a casa. @mdemarco55