Da Mani pulite al «chi sbaglia paga» L’amore infranto tra sinistra e toghe
Caselli: è stata la politica a delegare. Spataro: vedo solo marketing
È come l’amore impossibile con la signora della porta accanto, né con te, né senza di te. Intossicato, come le passioni fatali. «Il Pd? La sinistra? Bah, la verità è che nessun partito investe più sulla magistratura: forse perché tutti hanno capito che la legalità non conviene», ridacchia amaro Giuseppe Cascini, pm di punta nella nuova e aggressiva Procura romana di Giuseppe Pignatone, già segretario dell’Anm e voce forte di Magistratura democratica, la corrente «rossa» delle toghe: «C’era comunque un equivoco. In questi vent’anni non era la magistratura a voler far fuori Berlusconi ma la politica che, non riuscendoci, sperava lo facessimo noi. Tutto ciò è finito».
Di sicuro ogni cambio di stagione porta i suoi frutti avvelenati nella lunga storia di attrazione tra sinistra e magistrati che, per alcuni, comincerebbe con la questione morale evocata da Berlinguer nella famosa intervista a Scalfari del luglio 1981. L’idea della diversità comunista — e dunque di un rapporto preferenziale con le toghe, che quella diversità avrebbero certo sancito — prenderebbe le mosse da lì. Anche se appare angusto ridurre così la visione del segretario del Pci (Berlinguer pensava a un’autoriforma dei partiti, alla loro ritirata da enti e istituzioni, non certo a uno tsunami giustizialista).
È però possibile che, oggi, il tramonto del berlusconismo e l’alba del renzismo abbiano davvero rotto un vecchio patto non scritto e tante volte sgualcito. «Chi sbaglia, paga!», ha proclamato il giovane premier del Pd rilanciando il tema spinosissimo della responsabilità civile dei giudici. La voleva Craxi, la chiesero gli italiani con un referendum, l’ha sempre predicata Berlusconi. Renzi ne propone certo una versione light (e indiretta). Tuttavia…
« Chi sbaglia paga è uno slogan, può portare a qualche… apprensione», ammette Donatella Ferranti, doppia militanza Pd e Md, e presidente della commissione Giustizia della Camera: «Ma noi non vogliamo fare una riforma in odio a qualcuno, men che meno ai magistrati».
I grani del rosario però son lì a snocciolarsi. Mica soltanto la responsabilità civile: pure le intercettazioni e perfino le ferie (troppe, secondo Renzi e forse secondo molti cittadini comuni). Dunque c’è chi evoca tempi bui, chi ricorda la Bicamerale di D‘Alema (fallita), la bozza Boato (sepolta), il tentativo della riforma Mastella (azzoppato di lì a poco anche da un’inchiesta giudiziaria). Insomma i momenti in cui il maggiore azionista della sinistra italiana provò a camminare senza stampelle togate.
«Il partito dei giudici? Mai esistito. La sinistra,
Clima nuovo All’origine della lunga attrazione, la «questione morale» evocata da Berlinguer. Oggi lo slogan lanciato da Renzi suona come la fine di ogni sospetto di collateralismo
anche quando governava, con Prodi, soffriva molto la magistratura», sostiene Michele Emiliano, ex sindaco pd di Bari, ex pm. Cosa cambia adesso? «Tutto. Renzi è legittimato a mettere mano a lentezze e inefficienze della categoria». Fine ricreazione. Il ministro Orlando ha parlato di «magistrati ai quali è piaciuto incarnare la funzione di cambiare la società, che è invece politica». Certo era il sogno della toga rossa Ciccio Misiani, intransigente e visionario.
«Ma non della maggioranza di Md», obietta Giancarlo Caselli, che per alcuni fu con Luciano Violante anima dell’alleanza toghe-Pci, soprattutto negli anni del terrorismo: «Nella mia carriera mi hanno dato del fascista, servo sciocco di Dalla Chiesa ai tempi delle Br; e del comunista a Palermo, come Falcone, il che mi onora. L’anomalia del Paese è che quando un magistrato si occupa di un politico viene accusato lui stesso di fare politica. E certo ha ragione Orlando, spetta alla politica la funzione del buon governo: ma — è storia degli ultimi vent’anni — la politica ha delegato problemi gravissimi alla magistratura (per dirne due, mafia e corruzione). Sempre con un’asticella da non superare. Se la si supera, comincia l’attacco: si fa uso distorto del garantismo, nel senso di maggiori chance di farla franca soprattutto per imputati eccellenti. L’interfaccia di tutto questo è la normalizzazione, tagliarci le unghie. A me confezionarono una legge contra personam per avere osato fare il processo Andreotti».
Sergio D’Angelo, pm della pretura nella Milano pre-Tangentopoli, entrò in Md nel ’74, ne uscì nel ’91: da apostata. Oggi è molto richiesto da quei saggisti tesi a dimostrare come nella corrente «rossa» dell’Anm abbia allignato il male assoluto: «Md ha smesso di avere idee proprie quando il Pci se n’è impadronito negli anni Ottanta. Fino ad allora aveva prevalso il garantismo. Adesso è un centro di interesse come un altro, è finita, non ha più ossatura politica». Giudizio duro. Contro cui si oppone chi non t’aspetti, Emanuele Macaluso, uno degli ultimi grandi dirigenti comunisti che sempre contrastò la deriva giustizialista: «Md nacque come reazione al porto delle nebbie, contro una magistratura asservita alla Dc. E talora non solo alla Dc». Negli occhi, le lotte accanto a Li Causi, il blocco criminale di mafiosi e agrari... «Su 36 dirigenti sindacali ammazzati in Sicilia non ci fu nemmeno una sentenza di condanna! Md rovesciò questa situazione. Ma ciò portò alla giustizia di classe, non allo stato di diritto, frontiera su cui eravamo attestati Napolitano, Chiaromonte e io. Il Pci non ebbe la forza per questo