Antonio, tradito dalla terra che non voleva abbandonare
Aveva 24 anni, travolto con la sua auto dentro un canale di scolo Imprenditore agricolo, si era rifiutato di emigrare
CARPINO (Foggia) — Non è vero che è stato imprudente e che abbia voluto proseguire a tutti i costi, con la sua auto, sulla strada attraversata dal fiume d’acqua per andare a lavorare nell’azienda di famiglia. Antonio Facenna stava semplicemente tornando a casa. L’azienda in cui lavorava con i genitori, infatti, era anche la sua casa e si trova a Carpino, in pieno Parco nazionale del Gargano, sulla strada tra Vico del Gargano, dove Antonio è nato, e Coppa Rossa. Era figlio unico, Antonio, e aveva 24 anni. La sua Renault Clio è stata travolta dall’acqua e ritrovata l’altro ieri a Canale Puntone, trascinata a sei chilometri di distanza, completamente ricoperta di fango. Sono stati i sommozzatori a ritrovare il corpo e, ieri sera, la prefettura di Foggia ha confermato che si trattava proprio di lui, Antonio, quel ragazzo che a Carpino era diventato un esempio da seguire per l’attaccamento alla sua terra.
Studente, Antonio Facenna dopo le superiori aveva deciso di dedicarsi all’allevamento e all’arte della lavorazione del caciocavallo podolico, una prelibatezza da buongustai, perché si ricava dal latte della vacca podolica, razza proveniente dalla regione ucraina della Podolia. Antonio, per questa sua passione e per la determinazione di continuare a tener viva la tradizione di famiglia fino dai suoi bisnonni, si è anche meritato un documentario del Carpino Folk Festival, una manifestazione legata a uno dei più grandi autori di musica popolare, Matteo Salvatore, per il quale Italo Calvino disse: «Le parole di Matteo Salvatore noi le dobbiamo ancora inventare». Antonio non componeva musica né scriveva canzoni, ma la sua era lo stesso poesia. A rivederlo in quel documentario, la gente si commuove per la leggerezza e la convinzione con cui parla di latte, pascoli, formaggi, mucche e lavoro non come condanna, ma come strada per realizzare se stessi ed essere in qualche modo anche felici.
Non è stato però facile per lui coltivare questa passione e presentarsi al prossimo con queste credenziali. Diceva, per una forma di pudore, di frequentare l’università fuori e di tornare in azienda a lavorare solo durante le vacanze o i periodi in cui gli impegni di studio glielo consentivano. Non voleva che la gente lo burlasse o lo considerasse «non riuscito». Sapeva bene che ancora oggi un ragazzo che si sporca le mani con il lavoro agricolo non è esattamente un ragazzo ambìto e davvero rispettato come tutti gli altri. Colpa dell’ignoranza e dei pregiudizi che ancora resistono e che adesso tutti cercano di negare, come se non ricordassero quanta fatica ci sia voluta a convincere Antonio a prender parte a quel documentario che celebra la sua scelta e la offre come esempio di una emigrazione rifiutata. Anche dicendo la piccola bugia dello «studente fuori sede». Ora si strappano tutti i capelli, e forse è per questo che qualcuno ha tolto quel video da YouTube.
(ha collaborato Lucia Casamassima)