Ebola in Sierra Leone «Vietato uscire di casa» per sei milioni di abitanti
La misura colpirà 6 milioni di persone, medici scettici
«Per quattro giorni proibito uscire di casa»: è l’ultima ordinanza del governo della Sierra Leone per contrastare l’avanzata di Ebola. Dal 18 al 21 settembre circa 6,5 milioni di abitanti saranno chiamati a restare nelle loro abitazioni. L’obiettivo? Frenare l’epidemia e permettere agli operatori sanitari di individuare e isolare nuovi casi. Almeno 20 mila persone saranno impiegate nell’attività di polizia per far rispettare il blocco. Non è la prima volta che il governo di Freetown ricorre a misure del genere: due settimane fa c’era stata la giornata «stay at home». Ventiquattro ore di autoisolamento non hanno ridotto il contagio. Come le vicine Liberia e Guinea, la Sierra Leone sta combattendo una battaglia disperata: nei tre Paesi più colpiti circa metà delle 2.105 vittime (1.841 confermate) secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sono morte nel giro degli ultimi 30 giorni. In mancanza di medici (65 per tutto il Paese prima dell’ultima emergenza) si prova con le leggi e la polizia: il Parlamento ha già approvato una disposizione che condanna a due anni di prigione i familiari che non «denunciano» un malato o un sospetto a casa.
Combattere la paura di Ebola con la paura e l’isolamento. Città in quarantena, posti di blocco, sospese le scuole e il campionato di calcio. Ben Kargbo, consigliere speciale della squadra presidenziale anti-virus, dice che l’ulteriore «approccio aggressivo è necessario per fermare il contagio una volta per tutte». Ma una portavoce di Medici senza frontiere, l’ong più presente sul territorio (ha impiegato almeno 156 operatori sanitari stranieri e oltre 1.700 locali nei tre Paesi dell’Africa Occidentale con 5 centri e 500 posti letto), ha criticato il blocco stabilito dal governo di Freetown: «In base alla nostra esperienza queste misure non aiutano a controllare Ebola, poiché inducono le persone a nascondersi e a perdere fiducia negli operatori». A Monrovia, capitale della Liberia, la chiusura della baraccopoli di West Point dove l’epidemia stava dilagando è stata poi sospesa dopo la sollevazione popolare sfociata in violenze. «Quello di cui la Sierra Leone e la Liberia hanno urgentemente bisogno — sostiene Msf — sono più posti letto in centri di trattamento. E ne hanno bisogno adesso».
Ora i centri di trattamento per i malati di Ebola in Sierra Leone (404 vittime confermate) sono due: l’ospedale governativo di Kenema e quello di Msf a Kailahun. Un centro alla periferia della capitale dovrebbe essere pronto nelle prossime settimane. Chi potrebbe fornire «adesso» più posti letto, personale e attrezzature? L’Oms, braccio sanitario dell’Onu, stima che l’epidemia raggiungerà nei prossimi mesi i 20 mila casi (10 mila morti) ma sostiene di non avere mandato né forze (specie dopo i recenti tagli di bilancio) per operare come struttura di pronto intervento per grandi emergenze come questa. Bisognerebbe che i Grandi della Terra discutessero ogni tanto anche della riforma dell’Oms. Intanto la Sierra Leone si comporta un po’ come fa il mondo nei suoi confronti: chiusura delle frontiere, stop ai voli, chiusura della gente nelle case. Ebola non sta sgusciando in Occidente. Ma in Africa avanza ancora.
Anche i tifosi della Costa d’Avorio «combattono» contro Ebola
@mikele_farina