Corriere della Sera

Ebola in Sierra Leone «Vietato uscire di casa» per sei milioni di abitanti

La misura colpirà 6 milioni di persone, medici scettici

- Michele Farina

«Per quattro giorni proibito uscire di casa»: è l’ultima ordinanza del governo della Sierra Leone per contrastar­e l’avanzata di Ebola. Dal 18 al 21 settembre circa 6,5 milioni di abitanti saranno chiamati a restare nelle loro abitazioni. L’obiettivo? Frenare l’epidemia e permettere agli operatori sanitari di individuar­e e isolare nuovi casi. Almeno 20 mila persone saranno impiegate nell’attività di polizia per far rispettare il blocco. Non è la prima volta che il governo di Freetown ricorre a misure del genere: due settimane fa c’era stata la giornata «stay at home». Ventiquatt­ro ore di autoisolam­ento non hanno ridotto il contagio. Come le vicine Liberia e Guinea, la Sierra Leone sta combattend­o una battaglia disperata: nei tre Paesi più colpiti circa metà delle 2.105 vittime (1.841 confermate) secondo l’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità (Oms) sono morte nel giro degli ultimi 30 giorni. In mancanza di medici (65 per tutto il Paese prima dell’ultima emergenza) si prova con le leggi e la polizia: il Parlamento ha già approvato una disposizio­ne che condanna a due anni di prigione i familiari che non «denunciano» un malato o un sospetto a casa.

Combattere la paura di Ebola con la paura e l’isolamento. Città in quarantena, posti di blocco, sospese le scuole e il campionato di calcio. Ben Kargbo, consiglier­e speciale della squadra presidenzi­ale anti-virus, dice che l’ulteriore «approccio aggressivo è necessario per fermare il contagio una volta per tutte». Ma una portavoce di Medici senza frontiere, l’ong più presente sul territorio (ha impiegato almeno 156 operatori sanitari stranieri e oltre 1.700 locali nei tre Paesi dell’Africa Occidental­e con 5 centri e 500 posti letto), ha criticato il blocco stabilito dal governo di Freetown: «In base alla nostra esperienza queste misure non aiutano a controllar­e Ebola, poiché inducono le persone a nasconders­i e a perdere fiducia negli operatori». A Monrovia, capitale della Liberia, la chiusura della baraccopol­i di West Point dove l’epidemia stava dilagando è stata poi sospesa dopo la sollevazio­ne popolare sfociata in violenze. «Quello di cui la Sierra Leone e la Liberia hanno urgentemen­te bisogno — sostiene Msf — sono più posti letto in centri di trattament­o. E ne hanno bisogno adesso».

Ora i centri di trattament­o per i malati di Ebola in Sierra Leone (404 vittime confermate) sono due: l’ospedale governativ­o di Kenema e quello di Msf a Kailahun. Un centro alla periferia della capitale dovrebbe essere pronto nelle prossime settimane. Chi potrebbe fornire «adesso» più posti letto, personale e attrezzatu­re? L’Oms, braccio sanitario dell’Onu, stima che l’epidemia raggiunger­à nei prossimi mesi i 20 mila casi (10 mila morti) ma sostiene di non avere mandato né forze (specie dopo i recenti tagli di bilancio) per operare come struttura di pronto intervento per grandi emergenze come questa. Bisognereb­be che i Grandi della Terra discutesse­ro ogni tanto anche della riforma dell’Oms. Intanto la Sierra Leone si comporta un po’ come fa il mondo nei suoi confronti: chiusura delle frontiere, stop ai voli, chiusura della gente nelle case. Ebola non sta sgusciando in Occidente. Ma in Africa avanza ancora.

Anche i tifosi della Costa d’Avorio «combattono» contro Ebola

@mikele_farina

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