Corriere della Sera

Elif Shafak e i nuovi feticci: «Troppa paura delle differenze»

- Dal nostro inviato CRISTINA TAGLIETTI

MANTOVA — Elif Shafak è al Festivalet­teratura dove ieri ha presentato il suo nuovo libro, La città ai confini del cielo (Rizzoli), ambientato nella Istanbul del XVI secolo. È qui per parlare di Oriente e Occidente, di secoli di scontri e incomprens­ioni, ma anche di scambi e di confronti. Ponte credibile tra le due realtà, Elif Shafak (42 anni, nella foto), autrice di un romanzo, La bastarda di Istanbul, che ha avuto grande successo di pubblico e critica, ma anche suscitato molte polemiche, vive tra Londra e la città sul Bosforo. «Oggi — dice al “Corriere” — mi preoccupa la feticizzaz­ione dell’identico. I razzisti, i fondamenta­listi, i terroristi, vogliono tutti la stessa cosa: creare uno spazio dove non ci siano differenze, dove tutti siano uguali. Dove c’è questo tipo di pensiero non c’è vita, non c’è democrazia, non c’è arte, non c’è cultura. Non ci sono libri, spesso, perché lo scrittore ha bisogno di storie e le storie hanno bisogno di diversità». La condizione femminile nel Medio Oriente (e non solo) è uno dei suoi temi: «Bisogna rafforzare una cultura in cui le donne possano essere libere e felici anche fuori di casa. In Turchia siamo ancora al livello che se arriva la notizia di una donna molestata, subito tutti dicono: avrà avuto la minigonna. Questo è il tipo di mentalità». Ma neppure l’opposto le sta bene, come vietare alle donne di indossare il velo islamico: «Noi abbiamo 7 parole per indicarlo, voi una sola, vorrà pur dire qualcosa...». Il problema, dice, è che in Medio Oriente «le energie femminili sono state schiacciat­e, compresse, le donne sono state messe ai margini. Basta camminare in città per rendersi conto come lo spazio pubblico sia occupato dagli uomini. Come donne abbiamo bisogno di ricostruir­e la nostra coscienza di genere, acquisire maggior consapevol­ezza del valore della solidariet­à. Una volta in Turchia si diceva sorellanza. Ho sempre creduto nel movimento femminista». Ma questo è un problema di tutti, non soltanto delle donne. «No, certo. Dobbiamo riuscire a parlare più forte degli estremisti. Sono pochi ma urlano, noi siamo di più ma parliamo a voce troppo bassa».

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