Leone di Svezia
Vince il «Piccione» di Andersson Premiati gli attori di Costanzo Leopardi e «Anime nere» i delusi
VENEZIA — Dove, se non a Venezia, un Piccione può vincere un festival? A catturare il Leone d’oro è il Piccione filosofo dello svedese Roy Andersson. Che, come dice il lungo titolo Siede su un ramo a riflettere sull’esistenza. Sulla morte prima ancora che sulla vita. Un apologo noir, surreale e grottesco con due venditori di denti di vampiro, maschere spaventose e sacchetti ghignanti, in viaggio picaresco dal cabaret espressionista di Lotte la zoppa, al caffè dove Carlo XII, re gay di Svezia, entra a cavallo per arruolare un giovane barista come suo amante.
«Oggi non sarei un regista se non ci fosse stato il cinema italiano — ha ringraziato Andersson, 71 anni — in particolare Vittorio De Sica. La scena di Ladri biciclette con l’enorme quantità di bici e lenzuola lasciate al Monte dei Pegni, è stata per me una lezione di cinema e di vita, un monito a prestare sempre attenzione all’umanità dolente».
E se la Svezia vince per la prima volta il Leone d’oro, l’Italia conquista un doppio premio grazie al film di Saverio Costanzo. Le due Coppe Volpi vanno a Adam Driver e Alba Rohrwacher, che in Hungry Hearts sono impegnati in un lacerante corpo a cuore. Dopo l’oro dello scorso anno a Sacro Gra di Francesco Rosi, dopo il Gran premio della giuria di Cannes ad Alice Rohrwacher per Le meraviglie, è il terzo riconoscimento consecutivo al nostro cinema. Segno di una ripresa non effimera. Resta però la delusione per Martone e Munzi. Perché sia Il giovane favoloso (la cui colonna sonora di Apparat ha vinto il premio Piero Piccioni) sia Anime nere sono stati molto applauditi anche dalla critica straniera. Altro premio, speciale della giuria di Orizzonti a Belluscone di Franco Maresco. Assente alla Mostra, ha mandato un messaggio: «Voglio dedicarlo alla mia Palermo, che tanto mi fa arrabbiare ma che resta la città della mia vita, quella con la luce più bella del mondo».
Felino d’argento ad Andrej Konchalo- vskij, 77 anni, miglior regista. Il microcosmo poetico di Le notti bianche del postino, girato su un lago sperduto del nord della Russia con la gente del posto, ha emozionato la giuria. E lui stesso ha confessato di sentirsi «Un bambino che apre i doni di Natale. Proprio qui, 52 anni fa, vinsi il mio primo Leone con il mio primo corto».
Titolo, Boy and the Pigeon. Sempre lui, il Piccione. Capace persino di sconfiggere l’Uomo uccello di Iñárritu, quel Birdman quotatissimo anche per la straordinaria interpretazione di Michael Keaton. Una conferma invece alle previsioni è arrivata con The Look of Silence, incoronato con il Gran premio della giuria. Trattenuto a Chicago da
una tempesta che ha bloccato i voli, il regista Joshua Oppenheimer è comparso in video. «Il mio protagonista Adi ha voluto questo film affinché i criminali del genocidio in Indonesia riconoscessero le loro responsabilità. E così poterli perdonare e vivere al loro fianco senza paure. Nessuno però ha ammesso le sue colpe. Solo una figlia ha chiesto scusa per conto del padre. E ora anche l’Occidente dovrebbe trovare il coraggio di riconoscere il ruolo che ha svolto in quel genocidio». «È un capolavoro — ha precisato il giurato Tim Roth ritirando il premio per conto del regista —. Mi ha commosso al di là di ogni parola. È stato come veder nascere un figlio».
La serata, condotta con grazia da Luisa Ranieri e a cui hanno assistito il presidente del Senato Grasso, quello della Commissione europea Barroso, il ministro Franceschini, ha visto anche il doppio premio a Court dell’indiano Tamhane (oltre al De Laurentiis di 100 mila dollari, miglior film di Orizzonti) e quello per la miglior sceneggiatura all’iraniano Tales. «Il cinema è la lingua che accomuna tutti i popoli e questo riconoscimento è un immenso regalo ai miei connazionali che lo amano», ha esclamato la regista Rakhshan Bani-Etemad, i capelli coperti da un velo rosa.
Infine il Mastroianni a Romain Paul, 15 anni, applauditissimo ed emozionatissimo protagonista di Le dernier coup de marteau dove la Sesta di Mahler gli svela di essere figlio di un direttore d’orchestra. Alexandre Desplat, presidente della giuria e compositore, l’ha abbracciato forte salutando: «Viva la musica, viva il cinema».