L’alba della felicità, riservata e tenace: «Coppa al coraggio»
L’emozione dell’attrice. Alice aveva già conquistato Cannes
VENEZIA — «Non so niente, ma sono felicissima», dice Alba Rohrwacher nella hall dell’albergo. È lei la migliore attrice a Venezia: «È stato premiato il coraggio, è bellissimo condividere questo riconoscimento con Adam Driver. È un film facile e sorprendente, ma realizzato in condizioni difficili, ed esiste solo perché è stato tenacemente voluto da Saverio Costanzo. Per questo alla cerimonia è stato sottolineata la parola “coraggio”. La Coppa Volpi la dedico a Saverio».
Alba cerca di mantenere il riserbo fino all’ultimo. E sorride, nascondendo il suo volto così poco italiano dietro agli occhiali da sole. Ma il ruolo della bugiarda non le riesce. Questa giovane donna che esce dal copyright della bellezza femminile vince la Coppa Volpi insieme con Adam Driver, l’attore americano del momento, tra Guerre Stellari e Martin Scorsese. Sono i protagonisti di Hungry Hearts, il piccolo (è costato 1 milione e mezzo), grande (per l’intensità) film italiano di Saverio Costanzo. Stamattina sono tutti già in volo per il Festival di Toronto.
È il dramma ambientato a New York di una giovane coppia: un figlio che non cresce per le scelte radicali della madre vegana. Alle volte uno è incompleto, ed è soltanto giovane. Alba buca lo schermo con apparente casualità, la pelle color latte ne esalta l’espressione apparentemente mite, portando un disagio che va al di là della fisicità, un’inquietudine che forse le viene dalla solitudine della campagna umbra in cui è cresciuta. Ma in questo film il suo sguardo si incupisce: «Le azioni di Mina, il mio personaggio, partono da intenti amorevoli e finisce con lo sbagliare. Crede di avere ragione su ogni cosa, il marito non sa più come comportarsi, cerca di salvare la famiglia. Mina è intransigente, non è pazza come ha scritto qualcuno», dice Alba. Le sorelle dei festival, lei e Alice, che con Le meraviglie quattro mesi fa ha vinto il Gran premio della giuria a Cannes. Anche Alice è qui, presidente della giuria per le opere prime: «Ho fatto due film da regista, c’è una forma di tenerezza e ironia nell’aver chiesto a me di presiedere una giuria. Con Court di Chaitanya Tamhane, che esplora il mondo giudiziario dell’India, abbiamo voluto premiare il coraggio e la gioia di fidarsi degli spettatori, è un regista di cui vogliamo vedere il prossimo film». Tutte e due usano la parola «coraggio» per analizzare le opere in cui credono.
Fino a poco tempo fa hanno cercato di restare separate e di non avere una comune immagine pubblica. È rimasta la riservatezza, il pudore, la feroce determinazione di entrambe. A chi le chiede come si sarebbe comportata lei, nella situazione di Mina, lei che madre non è, Alba risponde gentile ma ferma: «Non lo so, comunque
In carriera Se conto quelli appena finiti, ho già girato trentatré film Mi rendo conto di non avere più una vita privata
non parlerei mai di queste cose in pubblico». Sono restie a parlare l’una dell’altra; restie a parare della loro adolescenza anomala, la vita nella fattoria, la casa più vicina a quattro chilometri, la madre insegnante, il padre apicoltore tedesco.
La prima ad avere successo è stata Alba, 35 anni (Alice ne ha due in meno). Quello di Costanzo è il suo trentesimo film in dieci anni, tutti con registi italiani tranne uno: Glück di Doris Dörrie. «In realtà ho appena finito quelli di Bellocchio e Garrone, e sto per cominciarne uno in Francia. Caspita sono già trentatré, vuol dire che non ho una vita privata!». Da bambina, Alba voleva fare l’acrobata al circo. Da ragazza si è iscritta a Medicina. La sera prima dell’esame di Istologia aveva gli occhi spalancati dall’emozione: «Non riuscivo a dormire, dovevo recitare in un teatrino». D’istinto si iscrive a una scuola di recitazione a Firenze, si sentiva protetta dai personaggi: «Era quello che volevo fare». Dice: verrà un giorno in cui si dirà che sono la sorella di Alice. Oggi è Alice la sorella di Alba. Ma sono, semplicemente, le sorelle del cinema italiano.