Verdone: ci siamo divisi sul verdetto Ho vissuto recluso come Silvio Pellico
VENEZIA — «Una bella esperienza ma è stata massacrante. Non credo che la ripeterei», dice Carlo Verdone, che ha fatto parte della giuria presieduta dal musicista francese Alexandre Desplat. «È mancata l’unanimità, ma non c’è stato bisogno di riunioni suppletive. Io sono uno aperto al dialogo, ho cercato di dire cose sensate e equilibrate». Come ha trovato la giuria? «Molto intellettuale». Il regista tedesco Philip Gröning e l’austriaca Jessica Hausner, l’attore Tim Roth, la scrittrice Usa di origine indiana Jhumpa Lahiri… «Sono andati su YouTube a vedersi spezzoni dei miei film», racconta Verdone. Mai come quest’anno il cinema italiano è stato apprezzato: lei come si è posto rispetto ai film in gara del nostro Paese? «Sono tre buoni film, quello di Saverio Costanzo ha colpito per la regia e soprattutto per la performance dei due attori. Un piccolo film claustrofobico, angusto, che sale sempre di più di tensione, e gli altri due li ha lasciati indietro. Anche se Martone e Munzi non hanno avuto premi, hanno fatto lavori importanti». Desplat aggiunge con una nota stonata, fraintendendo la domanda: «Io sono francese ma non ho spinto i film francesi». Arrivato al Lido, Verdone ha trovato, al pari dei suoi colleghi, una sorta di manuale del «buon giurato», istruzioni redatte dal direttore artistico Alberto Barbera, novità di quest’anno, che sa un po’ di editto bulgaro: vietato parlare se non alla conferenza stampa finale. In sostanza, non puoi esprimere giudizi sui film in concorso. Carlo condivide con James Franco il primato del bagno di folla. Benché «sdoganato» dal ruolo che Sorrentino gli ha dato in La grande bellezza, Carlo rappresenta l’«altro» cinema, quello popolare, un corpo estraneo a una certa prospettiva radicale dei festival. Così lo hanno messo nelle mani di una guardia del corpo. «Andavo avanti e indietro due volte al giorno dall’hotel alle sale di proiezione. Ho vissuto per due settimane come allo Spielberg — sorride —, mi sono sentito Silvio Pellico». I fan non gli davano tregua. Ha provato una volta a fare due passi sulla spiaggia ma non era aria: «Alcuni poi tornavano, ma se ci siamo fatti la foto insieme ieri, ancora stai qui?». Verdone fu già nella giuria di Venezia nel 1994: «C’erano David Lynch, Uma Thurman, Margherita Buy, Olivier Assayas. Ma soprattutto Mario Vargas Llosa». Lo scrittore peruviano. «Sì, e quello non lo smuovevi dalle sue idee nemmeno col carro armato, ti inchiodava con la forza dei ragionamenti». Carlo e Margherita spinsero per Lamerica di Gianni Amelio. Non ci fu nulla da fare: «Cominciò a dire che c’era un compiacimento del regista, che i personaggi sembravano insetti impazziti, che era un manierismo neorealista sopra le righe… Parlava troppo bene. Infatti ci distrusse con il suo eloquio».