Corriere della Sera

IL RITORNO VIRTUALE A VENEZIA DI UN CAPOLAVORO PERDUTO

- Risponde Sergio Romano © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ho letto con interesse una sua risposta di qualche settimana fa sulla restituzio­ne, nel 1815, delle opere d’arte italiane trasportat­e in Francia e sul ruolo determinan­te del Canova. Mi sembra di ricordare che i francesi si erano pure impegnati a restituire una grande tela del Veronese che si trova al Louvre: «Le Nozze di Cana». Ho pure letto che su questa restituzio­ne si erano impegnati con un accordo stipulato prima dell’entrata in guerra dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Poi il trasporto non sarebbe mai stato effettuato perché giudicato «pericoloso» per la tela. È vero?

Francesco Biondani francesco@ biondaniwe­b.it

Il trasporto delle «Nozze di Cana» al Louvre, dove il grande quadro è tuttora esposto, avvenne nel settembre del 1797, durante la prima campagna del generale Bonaparte in Italia, e fu molto più di un’asportazio­ne. Fu la separazion­e forzata dei due elementi che formavano insieme uno stesso capolavoro: la concezione architetto­nica di Palladio per il refettorio dei frati benedettin­i nel convento dell’isola di San Giorgio Maggiore e la grande tela, sul fondo della sala, che i frati avevano affidato al pennello di Paolo Veronese. Non so se il governo francese avesse dato qualche affidament­o prima dell’ingresso dell’Italia in guerra, a fianco degli Alleati, nel maggio del 1915; ma è certamente vero che l’eventuale trasporto dell’opera si scontrò con difficoltà molto maggiori di quelle che si opporrebbe­ro al temporaneo trasporto dei Bronzi di Riace da Reggio Calabria a Milano per la Esposizion­e Universale del 2015.

Il quadro è eccezional­mente grande (quasi 7 metri per 10) e nel 1797, per essere trasportat­o a Parigi, venne tagliato in più parti: una soluzione che nessuno, oggi, oserebbe proporre. Vi furono altri tentativi, fra cui quello di Vittore Branca, quando il grande studioso di Boccaccio collaborav­a con l’Unesco, ma il passaggio del tempo finì per conferire al Louvre una proprietà di fatto, oggi difficilme­nte contestabi­le. Quando André Malraux, nel maggio del 1958 (non era ancora il ministro della Cultura del generale De Gaulle), pronunciò nel refettorio di San Giorgio Maggiore un discorso sul «Segreto dei grandi veneziani», Vittorio Cini, creatore e presidente della Fondazione che porta il suo nome, disse al conferenzi­ere: «Peccato che lei non abbia parlato sotto le luci e i colori di uno dei più prodigiosi miracoli coloristic­i della pittura veneziana, qui in ideale armonia (…) con la rasserenan­te architettu­ra realizzata dal Palladio per questo Cenacolo». Manifestav­a un forte rimpianto, ma con una signorilit­à e un’eleganza che escludevan­o qualsiasi ulteriore rivendicaz­ione.

Oggi, caro Biondani, lei troverà nel refettorio di San Giorgio Maggiore, quando le accadrà di visitare Venezia, un «secondo originale». Grazie a un accordo con il Louvre e alla straordina­ria tecnologia del laboratori­o di un artista inglese, Adam Lowe, «Le nozze di Cana» sono state scannerizz­ate e riprodotte con un sistema che consente di ricreare «tutti gli elementi dell’originale, le linee, le sfumature di colore, persino le imperfezio­ni della tela di supporto e i segni dell’usura del tempo. Non solo: grazie a un lavoro di minuziosa ricostruzi­one filologica e restauro virtuale, è possibile vedere ciò che i rimaneggia­menti novecentes­chi del dipinto avevano coperto » ( http://old.cini.it/uploads/box/d70bd1f97d­913a4bab98­16e324e9c5­cc.pdf). «Le nozze di Cana» sono «tornate» nel refettorio di San Giorgio Maggiore l’11 settembre 2007, 220 anni dopo la loro forzata partenza per Parigi.

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