Corriere della Sera

Un paradiso fiscale in abito blu che attira clienti da tutto il mondo

- di Mario Gerevini mgerevini@corriere.it

Raccontano i vecchi frequentat­ori delle banche e delle fiduciarie lussemburg­hesi che una volta per strada c’erano le macchinett­e tritacarte. Tedeschi, francesi, belgi e molti italiani erano clienti abituali degli studi profession­ali e delle finanziari­e del Granducato. Poi la tecnologia si è evoluta e con essa la finanza.

Ma il Lussemburg­o è sempre rimasto lì in mezzo: crocevia di grandi capitali, non sempre tracciabil­i né puliti, un paradiso fiscale in giacca e cravatta, ben più sofisticat­o ed efficiente delle «rozze» Cayman o di Panama o delle Isole Vergini Britannich­e. E ben più aderente alle norme internazio­nali. Un sistema fiscale societario concorrenz­iale e una notoria riservatez­za attirano «clienti» da tutto il mondo. Tant’è che il Paese di Jean-Claude Junker ha più holding che abitanti. Sono migliaia le società targate «Lux» che controllan­o interi gruppi industrial­i di altri Paesi o le loro attività in Europa, da cui poi incassano i dividendi con vantaggi fiscali enormi: Amazon, Apple, Starbucks solo per fare tre nomi al centro delle indagini per possibili trattament­i fiscali di favore e non conformi alle regole Ue.

Per stare in Italia, la Luxottica, la multinazio­nale fondata da Leonardo Del Vecchio, è controllat­a dalla lussemburg­hese Delfin che cinque anni fa ha chiuso un contenzios­o con il Fisco versando oltre 200 milioni. Qualcuno, poi, ricorderà che la famosa scalata alla Telecom di Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti venne lanciata radunando la cordata intorno alla società Bell, sede nel Granducato. E quando vendettero Telecom alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera fecero un’enorme plusvalenz­a lussemburg­hese. Anche in quel caso il Fisco italiano chiese il conto. Russi e cinesi oggi sono di casa negli uffici dei consulenti lussemburg­hesi. Il China Investment Corporatio­n, fondo sovrano al servizio del Pcc, ha «impiantato» in totale riservatez­za il suo hub societario europeo nel Paese di Henri Albert Gabriel Felix Marie Guillaume, cioè il Granduca Enrico. I bilanci della holding Land Breeze controllat­a da Pechino sono impression­anti: 7,3 miliardi di dollari di patrimonio, con partecipaz­ioni anche in Indonesia, finiti in Lussemburg­o.

La burocrazia è efficiente e non eccessiva, i servizi bancari sono tra i migliori al mondo, la normativa garantisce certezza nel tempo, il Fisco è gentile e le sue leggi — secondo gli esperti — sono flessibili quel tanto che basta per essere interpreta­te dai funzionari del Granducato. Questo è il punto: un’interpreta­zione forse troppo elastica e allo stesso tempo mirata, fuori dai binari comunitari, utilizzata come leva per attirare più «clienti» possibile e favorire le grandi multinazio­nali che portano soldi.

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