Corriere della Sera

Pompei chiusa per assemblea sindacale, chi lo spiega ai 3 mila turisti rimasti fuori?

- Di Goffredo Buccini

uante divisioni ha l’Unesco? Ci si perdoni la parafrasi paradossal­e (Stalin se lo domandava a proposito del Papa): ma l’unica via per salvare Pompei sembrerebb­e — se solo fosse possibile — strapparla di mano a un Paese autolesion­ista come il nostro. L’unico modo per tutelare quegli scavi (dal 1997 patrimonio dell’umanità) parrebbe liberarli dalla rissosa parodia delle rivendicaz­ioni sindacali. Tra ieri e l’altro ieri, tremila turisti sono rimasti fuori dai cancelli — chiusi — del sito archeologi­co. Dentro, per due mattine, i sindacati hanno fatto assemblea, lamentando turni di lavoro «sfiancanti» (la Cgil, in un sussulto di buonsenso, si è sfilata). Il ministro Franceschi­ni ha bollato l’agitazione, «danno incalcolab­ile per l’immagine dell’Italia», spiegando di avere già assunto personale di supporto. Purtroppo, solo a scorrere i titoli più recenti, cadono le braccia. Quando non ci si mettono i sindacati, incuria e dissesto incombono: a marzo crolli al Tempio di Venere; a giugno, cinque giorni di assemblee e Franceschi­ni che minaccia la precettazi­one. Non c’è ministro che su Pompei non rischi la carriera (il povero Bondi ne sa qualcosa). Sessantami­la cittadini scrivono in una petizione che «il sito si sbriciola nel silenzio» e chiedono che il Parlamento ascolti il grido di dolore di Giovanni Nistri, il generale dei carabinier­i che dirige il progetto Grande Pompei. Dovesse succedere, immaginiam­o scranni vuoti e buvette piena: il bene comune, si sa, è una noia mortale.

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