Corriere della Sera

MARTIRIO DEI CRISTIANI L’OCCIDENTE È CIECO

- Di Mauro Magatti

due giovani sposi bruciati vivi in Pakistan e la condanna a morte per blasfemia di Asia Bibi, la contadina madre di cinque figli, sono storie così drammatich­e da essere riuscite a ottenere spazio sui principali media internazio­nali. Ma la persecuzio­ne dei cristiani nel mondo è un fenomeno che, pur avendo raggiunto dimensioni impression­anti, non riesce a scaldare il cuore dell’opinione pubblica occidental­e.

A richiamarc­i alla realtà che si nasconde dietro i casi di cronaca sono due autorevoli pubblicazi­oni in uscita proprio in questi giorni. Si tratta della edizione italiana de Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo, curato da Jean-Michel di Falco, Timothy Radcliffe e Andrea Riccardi e Il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), una fondazione di diritto pontificio. Entrambi concordano sulla vastità del fenomeno: almeno 100 milioni di cristiani sono perseguita­ti nel mondo, mentre per le uccisioni la stima più prudente (del ricercator­e tedesco Thomas Schirrmach­er) parla di 7 mila persone all’anno. Cifra che altre fonti, usando dati e criteri diversi, ritengono che andrebbe moltiplica­ta per dieci. La situazione sta diventando così grave che lo stesso papa Francesco è tornato sulla questione definendol­a «peggiore di quella dei primi secoli » . E per quanto forme di intolleran­za religiosa si possano trovare in tutto il mondo, è fuori discussion­e che i cristiani rappresent­ino oggi la confession­e più perseguita­ta del pianeta.

Le ragioni che spiegano la recrudesce­nza di questo fenomeno sono molteplici. Intanto si tratta di casi in cui i cristiani sono una minoranza nelle mani di una maggioranz­a inquieta. In un momento storico di grande instabilit­à, soprattutt­o nei Paesi che sono agitati da grandi questioni irrisolte (economiche, sociali, politiche, culturali), basta un piccolo episodio per accendere la miccia della violenza contro chi mette in discussion­e, sempliceme­nte con la propria presenza, l’integrità del gruppo. Come la storia europea ci insegna — da noi furono gli ebrei a trovarsi in questa scomoda posizione — la minoranza diventa il capro espiatorio contro cui si scatena la violenza di un ordine sociale che, in realtà, è messo in discussion­e dal processo di modernizza­zione.

Le persecuzio­ni contro i cristiani non a caso si concentran­o in Africa, in Medio Oriente e in Asia. Regioni che stanno attraversa­ndo una profonda trasformaz­ione e dove la religione rimane impastata con la politica. Così che la violenza contro i fedeli di un’altra fede — a dispetto del comandamen­to biblico che ricorda di non piegare ai propri fini il nome di Dio — viene strumental­izzata per gli scopi più diversi. Al fondo c’è la mancanza di quel lungo e problemati­co processo di secolarizz­azione che abbiamo conosciuto in Occidente e che nel corso dei secoli ha separato sfera politica e sfera religiosa. E proprio qui sta il punto che dovrebbe interessar­ci. Nel mare delle notizie quotidiane, le persecuzio­ni religiose non hanno la forza per raggiunger­e e mobilitare l’opinione pubblica. I fatti sono troppo lontani e il tema, tutt’al più, si pensa debba interessar­e chi è credente.

La freddezza dell’opinione pubblica si traduce nella ignavia della politica. Non risulta alcuna iniziativa significat­iva sul piano internazio­nale che metta a tema una questione che ha dimensioni enormi. Ma possono le democrazie avanzate disinteres­sarsi del proble- ma? La risposta è no. Prima di tutto per ragioni umanitarie. I morti per la libertà religiosa non valgono meno di chi perde la vita per la negazione di altri tipi di diritti. Ma soprattutt­o per ragioni legate al loro futuro. Negli anni scorsi sono state combattute, inutilment­e, delle guerre per esportare la democrazia. Ma la democrazia, per definizion­e, non si può esportare. Essa cresce solo dove ci sono le condizioni adatte. Una delle quali è la libertà religiosa, che comporta lo scollament­o della politica dalla religione.

Per questo l’Occidente sbaglia a non porre all’ordine del giorno delle istituzion­i internazio­nali la questione della libertà religiosa. E a maggior ragione può l’Europa — che proprio nel nome del pluralismo fa lo sforzo di aprirsi a tutte le religioni, a partire dall’Islam — sottrarsi dallo svolgere un ruolo di tutela e di stimolo sul piano internazio­nale?

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