Una famiglia di puffi-ferrovieri
pensionati oggi si vestono come teenager. Non li sopporto, in fila a comprare scarpe da ginnastica che non useranno mai per correre. Né sopporto gli uomini che coordinano i colori di calzini e colletti di magliette». In questa orazione spicciola, Marco Paolini non risparmia se stesso: «Non mi chiamo fuori, penso anch’io a cosa metto e non ho la sindrome Giorgio Bocca...». Quale? «Pensare che i miei tempi fossero migliori. Però...». Cosa? «Ricordo che da bambini venivamo vestiti dalla mamma che sceglieva le cose, ma loro, gli adulti, si mettevano delle cose che gli piacevano sì, ma senza troppo pensarci. Adesso è come se tutti, piccoli e adulti, pensassimo a quello che la mammina pubblicità vuole farci mettere». Lo shopping, per Paolini, è un esercizio spirituale di minimalismo: «Entro in un negozio quando devo, prendo quattro paia di pantaloni, stesso modello, li uso due anni, come i vestiti di Paperino, con variazioni minime blu, marrone... a volte oso, con il rosso». Pantaloni? «No! Un maglione». Poi, quasi interdetto: «Ma perché dico queste cose? Se affermo che non comprerò mai le scarpe rosse, il giorno che dovessi farlo passerei per un...». E tronca il discorso con una frase che tiene in caldo lo stupore: «A Milano gli uomini vanno in giro in fusò! Neanche le tute, i fusò!».
Paolini ci accoglie nel suo studio a Padova, vicino alla stazione, sede della JoleFilm, società di produzione fondata nel 2002 con la moglie Michela Signori. Il logo è una donna semi-nuda, il nome Jole è di un’ex-prostituta che gestisce un bar, personaggio ricorrente nei testi degli Album. Si respira un clima familiare, come i biscotti fatti in casa dall’assistente; in una stanza dai vetri trasparenti, due ragazzi montano un video. Tra i libri che Paolini ha con sé, ce ne è uno che spiega bene il rapporto con la tecnologia e i giovani: in Quello che vuole la tecnologia (Codice, 2011), «Kevin Kelly, l’autore, cita gli Amish, che sembrano chiusi, ma in realtà affidano ai più giovani il compito di provare le novità tecnologiche del mondo di fuori, per capire se possono essere utili alla comunità. Le vecchie generazioni non devono imporre il conservatorismo e i giovani devono porsi un obiettivo, critico». E Paolini, da giovane, cosa immaginava avrebbe fatto da grande? «Uno di quelli che sanno aggiustare i motori. Mio padre era ferroviere, mia madre casalinga, ho studiato agraria, il teatro è stato un incontro casuale, l’invenzione di un destino. Vivevo nella grande famiglia dei ferrovieri: si rompeva un rubinetto? Veniva il ferroviere-idraulico. Saltava la luce? Ecco il ferroviere-elettricista. Una comunità auto-sufficiente, come i Puffi».