Fiorentina promossa in rimonta
Qualificata all’ultimo respiro, grazie ad una punizione magistrale del capitano Pasqual. La Fiorentina entra nei sedicesimi di Europa League con due turni di anticipo, ma senza sorrisi. La squadra di Montella fa la partita dall’inizio alla fine, attacca, spreca, ma ad un minuto dal 90’ è sotto per la rete segnata da Martens al 36’ della ripresa. L’orgoglio e la rabbia la salvano da uno scivolone che avrebbe aumentano la pressione prima della sfida cruciale con il Napoli.
Il pari vale oro, ma conferma le difficoltà che attraversano l’anima viola e penalizzano il suo gioco. La Fiorentina è bravina, generosa, ma come al solito troppo morbida e imprecisa, apparentemente senza fame e senza cattiveria. E pure distratta in difesa. I greci, che dovevano vincere e invece badano solo a non prenderle, segnano l’unico gol della serata a 9 minuti dalla fine e sognano l’impresa. Ci pensa Pasqual a raddrizzare la traballante barca viola. Gomez, titolare per la prima volta dopo l’infortunio, di strada ne deve fare tantissima. Nel primo tempo la squadra, più che provare a vincere, cerca di far rompere il ghiaccio al suo bomber. Una specie di missione umanitaria. Fallita.
La Fiorentina sceglie il 4-3-3, nella notte senza bagliori. Gonzalo dirige la difesa, Pizarro guida il gioco alternando il giro palla al lancio lungo, Cuadrado e Vargas attaccano la profondità sugli esterni. La banda Montella costruisce sette occasioni sino all’intervallo, tre nitide, ma non sblocca il risultato. Gomez ne sbaglia due, una di testa e una di piede (nella ripresa ne sprecherà una terza), abbastanza facili. È sempre al posto giusto, ma deve migliorare la mira. Clamoroso anche un errore di Cuadrado.
Nella ripresa la Fiorentina mantiene il controllo dell’iniziativa, ma il ritmo si abbassa e gli errori si moltiplicano. Per cercare più velocità e intensità negli ultimi sedici metri inserisce Marin per Lazzari. La scossa. Ma il gol lo segna Martens e sino alla punizione all’incrocio dei pali di Pasqual Firenze teme la beffa.
Visto che pure il rombo di un tuono perde la sua forza disperdendosi nei cieli, oggi Gigi Riva, il Rombo di Tuono nato da una geniale intuizione di Gianni Brera, compie 70 anni. A pensarci bene sembra impossibile che quel ragazzo amante dei silenzi, il sinistro come un fucile a raggi infrarossi per impallinare i portieri, si sia fatto dribblare dalla vecchiaia. Gigi era l’essenza stessa della gioventù, di un’Italia riemersa dalla guerra e baciata dal boom degli anni Sessanta. I suoi gol avevano il fascino e la forza delle gesta di certi eroi dei nostri studi classici e il fatto che la sua bandiera fosse quella del Cagliari, squadra appartenente alla periferia dell’impero calcistico, contribuiva a trasformare egli stesso in un eroe.
Gigi è un uomo di lago che la Sardegna ha trasformato in qualcosa di molto simile a un lupo di mare. Nato a Leggiuno, provincia di Varese, il 7 novembre del ’44, quando il profondo Nord stava consumando gli ultimi drammi di Mussolini e della Repubblica Sociale Italiana, da ragazzino ha sfogato su un pallone dolori e frustrazioni per la perdita prematura di entrambi i genitori: « Quando penso al mio lago, il lago Maggiore, mi si stringe sempre il cuore. Il lago è l’infanzia, è papà e mamma, le mie sorelline. La Sardegna però mi ha rapito».
Primi calci nel Laveno Mombello, dilettanti, poi a Legnano in serie C prima del trasferimento a Cagliari, non ancora diciannovenne, nell’estate del ’63: «Che anni, quegli anni. Irripetibili. Chi verrà dopo di noi non sarà così fortunato». Da Cagliari Gigi non si è più mosso: corteggiato da tutti i più grandi club dell’epoca (Juventus in testa), corteggiato dalle donne.
Quando vinse Rivera mi dissero: tra un anno tocca a te. Invece...