L’editto dell’inviato di Al Baghdadi in Libia: «Chi rimane qui da oggi si deve convertire»
nere del peggiore Jihadistan. «L’ospedale funziona solo per le emergenze, quasi tutti i medici sono scappati — racconta M. H., che ha mandato la famiglia a Beida —. Le scuole sono svuotate da giugno, donne e bambini se ne sono andati. La centrale elettrica macinava 100 megawatt: ora non supera i venti». Anche le banche non vanno più: l’ultima ha chiuso due settimane fa perché sono spariti quattro milioni di dinari, due milioni d’euro, e si sospetta un impiegato infedele tanto alla ditta quanto all’Islam. A Tobruk, a Cirene, in ostelli e case sfitte s’incontrano migliaia in fuga dallo spavento senza fine di Bengasi, dove si combatte furiosi, e dalla fine spaventosa di Derna, questa Mosul libica d’ottantamila abitanti che milleduecento jihadisti maliani, tunisini, yemeniti hanno preso senza sparare un colpo. Derna era la città dei poeti, dei mercanti, dei ministri del re. Religiosa, tanto che Gheddafi la evitava, ma insieme colta e raffinata. Oggi è il primo Califfato che i tagliateste siano riusciti a proclamare nel Mediterraneo. Non in Siria o in Iraq, ma davanti all’Italia: se ci sarà mai una marcia sulla Roma vaticana, come proclamano, è da qui che partirà.
I racconti della paura si raccolgono alla cafeteria Thuraya, fra macchine di bulli che ai ragazzini, gli unici che accorrano», spiega M. H. La polizia islamica circola coi Land Cruiser bianchi e neri per controllare abbigliamenti e atteggiamenti: «Alle facoltà di legge e di belle arti hanno tirato su un muro per dividere studenti e studentesse». Il generale Haftar ha sigillato la città, giurano che non esce nessuno, ma non è vero: M. H. passa ogni settimana per stradine secondarie, «non è difficile».
Ogni tanto spuntano checkpoint volanti sulla strada da Beida, qualcuno viene sequestrato: moglie e bambini d’un deputato di Tobruk, fatta l’inversione a U, sono stati inseguiti per venti chilometri. «Sono pochi +fanno già un gran casino», ci dice il generale Abdel Razah Nouradin, capo di stato maggiore dell’esercito libico: «Per ora hanno solo qualche rpg del tempo di Gheddafi. Ma bisogna intervenire e spazzarli via, prima che ne arrivino altri».
C’è una sparatoria, il giorno che ce ne andiamo da Beida. Arriva un’ambulanza, trasporta un ferito eccellente. Si chiama Sufian Bin Qumu. Stava in Afghanistan, poi a Guantanamo. Ha lasciato Al Qaeda per l’Isis. Il Dipartimento Usa l’ha messo nella lista dei terroristi globali più ricercati. Viveva a Derna, ma nessuno lo sapeva.