La disperazione della madre «Non toccate il mio piccolo voglio ancora abbracciarlo»
La madre si agitava come se il piccolo Andrea fosse ancora vivo: «Guai se lo toccano. Voglio che in ospedale facciano l’autopsia senza aprirlo. Mio figlio è bellissimo. L’hanno messo su un letto freddo. Lo lascio tutta la notte da solo? Io debbo abbracciarlo, dargli un po’ di calore, parlare con lui...». Mentre all’improvviso è circolata una frase choc che il padre, Davide Stival, avrebbe pronunciato davanti agli investigatori: «Perché prendersela con mio figlio? Questa volta lo ammazzo con le mie mani». Ma i carabinieri l’hanno poi smentita.
Uno strazio infinito resta impresso nel cuore del governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, l’unico ieri a salire la scaletta della modesta ma dignitosa casa di una famiglia disperata, quella del piccolo Andrea, presente in quel salottino della periferia di Santa Croce Camerina con i sorrisi birbanti di foto accarezzate da una madre implorante. «Presidente mi porta ad abbracciare Andrea? Debbo vederlo subito» insisteva mamma Veronica. E Crocetta una telefonata al prefetto l’ha fatta davvero chiedendo l’impossibile, poi spiegando che bisogna avere pazienza e attendere ancora una notte, che occorrono altre ventiquattro ore. Il padre ha spiegato che la sua vita s’è fermata sabato pomeriggio, sul suo Tir, in autostrada, in viaggio da Milano verso Sud. Con Crocetta comprensivo: «È terribile per un padre apprendere alla radio che il figlio è morto».
Una somma di choc si incrociano in questa casa dove la gioia è stata spazzata via e il terrore irrompe con l’ansia crescente di richieste poste al governatore da una madre affranta: «Ci vogliono le telecamere attorno alle scuole, quelle che ci sono non bastano, io ho un altro figlio piccolo che va all’asilo e debbono metterle pure in classe le telecamere, per controllare tutto...». Ansia che non c’era mai stata fino a sabato. Nemmeno quando Andrea faceva qualche monelleria e si allontanava per gioco, magari seguendo ragazzini più grandi, compari di inno- centi scorribande per una partitella a calcio, innocue e rapide fughe ricordate dalla zia Antonella: «Lo ritrovavamo nelle vicinanze. Un rimprovero e tornava...». Forse anche per questo papà Davide era contento che il suo discolo frequentasse Una vicina Ci vogliono le telecamere attorno alle scuole, anche in classe... Quelle che ci sono non bastano la parrocchia di San Giovanni. Per il catechismo, confuso fra i duecento bimbi che ascoltavano padre Flavio Maganuco. Ma lui, sornione, preferiva i pomeriggi all’oratorio per le lezioni di taekwondo, per quest’arte marziale simile al karate, per la posa, i pugni, l’uniforme, una sorta di divisa come il kimono, felice pochi gironi fa della foto scattata per inviarla col telefonino al papà lontano, al Nord. Ed è questa forse l’ultima istantanea che resta di una vivacità brutalmente soffocata in fondo a un canalone.