DIGITALE I NUOVI VOLTI DELLA DISEGUAGLIANZA
l’inadeguatezza dell’attrezzatura tecnologica ma che, a sua volta, genera un’insufficiente domanda di nuovi servizi digitali. Scarsa, ad esempio, è la pressione esercitata dall’opinione pubblica sullo Stato per ottenere buone forme di egovernment, cioè di burocrazia digitale chiara e comprensibile. Una parte dei cittadini preferisce la coda allo sportello all’impaccio davanti al computer.
Da un lato c’è il divario generazionale tra i nativi digitali e le persone più anziane. L’«alfabetizzazione tecnologica » , tante volte invocata, non è mai stata neppure tentata in modo serio e su vasta scala. Il servizio pubblico radiotelevisivo, cui forse sarebbe spettato il compito di realizzare un’iniziativa del calibro di «Non è mai troppo tardi», aggiornata all’era digitale, non ha dedicato al tema un impegno adeguato. Nei Paesi scandinavi, al contrario, la semplificazione amministrativa è passata attraverso un’educazione all’egovernment che ha coinvolto simmetricamente gli impiegati pubblici e gli utenti.
C’è infine, più nascosto ma non meno cruciale, un terzo tipo di digital divide, ed è quello nel mondo giovanile. In questa parte della società esistono le distanze forse più grandi e, in prospettiva, più importanti. Una delle rappresentazioni più in voga è quella dei ragazzi «tutti uguali», intontiti, curvi sullo smartphone, presi a scambiarsi informazioni irrilevanti sui social network. Peccato sia anche una delle più rozze e false.
Anche il mondo giovanile si sta, al contrario, polarizzando: da una parte ci sono, effettivamente, i giovani «schiavi» delle tecnologie della comunicazione, quelli che se ne fanno dominare, poco abili a gestire il proprio tempo, privi di «disciplina mediatica». Dall’altra però emerge un tipo di giovani che della tecnologia fa un uso attento e maturo, integra vecchi e nuovi media, ama la lettura, usa i mezzi a disposizione per un progetto di crescita. Il loro profilo, c’è da scommettere, coincide con quello dei giovani che trovano lavoro, in Italia o all’estero, oppure riescono a crearlo. Forse non sono la maggioranza ma l’esperienza quotidiana ci insegna che non sono pochi.
Un buon progetto culturale (e occupazionale) per l’Italia non può prescindere, in partenza, da una comprensione e da una valorizzazione del ruolo di questi giovani attrezzati: senza dimenticare i loro coetanei meno bravi.
@SegantiniE