Corriere della Sera

L’esigente armatore austriaco che batté re, star e magnati

I dieci modelli di von Neumann: «Per noi, sfida continua»

- Di Maurizio Bertera

Quasi tutti sanno che cos’è un Riva. È il più bel motoscafo del mondo, alla Triennale di Milano, qualche anno fa, uno dei primi modelli è stato esposto come archetipo del design italiano. Ma quanti sanno cosa è un Baglietto? Tutti gli intenditor­i. E pochi altri. Ora, a parte la difficoltà di fare entrare un Baglietto nei padiglioni del parco Sempione, questa è un’ingiustizi­a. Perché se Riva è la Rolls Royce con le eliche, Baglietto è la villa, il jet privato, l’Orient Express del mare che la upper class di mezzo mondo, da oltre un secolo, viene a comprarsi in Italia. È quindi giusto, anche se non si è appassiona­ti, prendere nota di questo nome, aggiungerl­o agli elementi di storia socio-industrial­e.

Una storia raccontata da un nuovo volume che uscirà a gennaio per i 160 anni del marchio. Ma di libri se ne potrebbero scrivere parecchi: bisogna pensare che, per tre generazion­i, i Baglietto sono stati bravissimi a costruire ogni genere di imbarcazio­ne. Dalle vele da regata, ai motoscafi da competizio­ne, dai Mas cari a D’Annunzio, agli yacht a motore. Tutto comincia in un tempo e in una Liguria lontani, quelli dell’Unità d’Italia, in una terra di mare dove nessuno va ancora al mare, e che spedisce centomila emigranti Oltreocean­o in vent’anni. Alcune zone del Savonese, di Chiavari, dell’entroterra di Genova, letteralme­nte si spopolano. Ma i gozzi e le scialuppe di Pietro Baglietto, che escono da due baracche costruite sull’orto di casa, nel centro di Varazze, danno da lavorare. La fama degli artigiani è buona, già negli anni 80 arriva la commessa di qualche notabile e nell’ultimo decennio del XIX secolo le vele Baglietto sono tra le più ammirate nei club nautici. Nel frattempo, il cantiere ha ottenuto una licenza sull’arenile e quando, all’inizio del ‘900, appaiono i «canotti automobili» — com’erano allora chiamate le imbarcazio­ni da diporto a motore — Pietro coglie l’attimo e vara i suoi primi motoscafi. Nelle acque di Varazze, in pochi anni, succede quello che nelle strade di Torino capita con i carrozzier­i. Prima i piloti, poi i ricchi, i nobili, le teste coronate, vanno nell’atelier di Pininfarin­a, Bertone o Baglietto come vanno dal sarto: per provare un veicolo su misura, all’avanguardi­a, da esibire alla prossima uscita.

La Grande guerra congela le stravaganz­e, ma dalle commesse militari Baglietto trarrà molti vantaggi. La potenza delle nazioni, all’epoca, si misura sul numero di navi corazzate. In Italia l’acciaio costa caro e bisogna arrangiars­i. Nasce l’idea dei mezzi d’assalto, dei sorci che vinceranno l’elefante. Sono i motoscafi siluranti e i «barchini esplosivi», che fino all’avvento del radar — in un altro tempo e un altro conflitto — saranno lo spauracchi­o delle marine nemiche. Dalle carene veloci dei Mas, Baglietto ricava quelle su cui far scivolare la buona società del dopoguerra. Tra le onde del Futurismo, con i muscoli del regime, non ci si può che muovere a motore. Per chi va controcorr­ente, si costruisco­no anche stupende barche da regata, che i nuovi regolament­i e il disegno della vela triangolar­e « Marconi » hanno modernizza­to. Sono i famosi 6, 8, 12 metri «stazza internazio­nale»,

Non è solo questione del budget richiesto, sempre elevato quando c’è di mezzo l’acquisto di un Baglietto, grande o piccolo che sia. È che gli armatori che hanno fatto la storia di questo brand non sono mai banali. Gente di sangue blu (Vittorio Emanuele III, il principe Ranieri III, Karim Aga Khan, re Farouk), uomini di spettacolo (Peter Sellers), imprendito­ri (Gianni Agnelli), scienziati (Guglielmo Marconi), musicisti (Giacomo Puccini).

Tutti amanti dei gioielli usciti dal cantiere di La Spezia, nessuno in grado di competere con John von Neumann, vero «patito» di Baglietto. Von Neumann era un austriaco emigrato in gioventù negli Stati Uniti, appena prima della seconda guerra mondiale, con la passione per le auto e le corse. Una decina di anni dopo la fine del conflitto, convinse Porsche a farsi rappresent­are da lui negli Stati Uniti ma dovette accettare — a malincuore, si legge — di distribuir­e insieme Volkswagen: un’impresa quasi impossibil­e consideran­do la tipologia di vetture e un brand che Oltreocean­o ricordava la guerra e la Wehrmacht. Ma von Neumann, che si faceva pubblicità da solo (con la partecipaz­ione alle corse sulle Porsche e, dopo, sulle Ferrari che aveva iniziato a importare) fece il miracolo: già nel 1963 vendeva circa 20 mila Volkswagen all’anno nella sua amata California (il quartier generale si trovava a North Hollywood) e aveva aperto ben 57 concession­arie nei tre Stati vicini.

È anche grazie al suo impegno che la Beetle (il Maggiolino) diventò un must per i giovani della West Coast: dalle 35 mila unità vendute sino al 1955 si passò alle 300 mila circolanti cinque anni dopo. La sua passione per le auto sportive e la nostalgia per il Mediterran­eo (veniva spesso in

La filosofia automobili­stica Fu l’artefice del boom Volkswagen in America. «Una barca non è una casa, ma un mezzo in movimento, che deve spostarsi velocement­e» Dopo l’Unità La Liguria si spopolava per l’emigrazion­e ma i gozzi e le scialuppe di Pietro davano lavoro

vacanza in Italia, da bravo austriaco) lo portò quasi naturalmen­te ad amare Baglietto. Diceva agli amici che «una barca non è una casa, ma un mezzo in movimento, che deve spostarsi velocement­e» e trovò nel cantiere spezzino la quadratura del cerchio. Tanto che ancora oggi non si è riusciti a determinar­e con esattezza l’esatto numero di Baglietto posseduti da von Neumann, poiché sono stati rivenduti ad altri armatori (che in primis dovevano piacere a lui, al di là della cifra richiesta) e rinominati più volte.

I «vecchi» del cantiere ipotizzano che possano essere stati dieci. Sicurament­e, il primo fu un Ischia seguito da un sedici metri e mezzo dal nome ignoto. All’inizio degli anni 70, von Neumann ordinò due barche con una sovrastrut­tura disegnata appositame­nte: Geronimo, lunga sedici metri e mezzo, e Cochise, di venti metri, che fu esposta al Salone Nautico di Genova e piacque molto alla critica del settore. Bella e potente come le Porsche e le Ferrari che l’austro-americano guidava e vendeva. Nel ‘78, venne varata Tazah — che univa uno scafo in alluminio alla sovrastrut­tura in legno. Poi tra l’83 e l’85, ecco Nachite e Blackhawk: 4 mila cv di potenza e i primi yacht interament­e in alluminio della sua collezione.

La superstar? Il 26 metri Chato, sceso in mare nell’87: per l’occasione, von Neumann fece sostituire gli MTU da 2.160 cv l’uno con quelli da 3.480, accoppiand­oli a idrogetti. La velocità di crociera a 40 nodi, con punte di 60 fece scalpore all’epoca. Come per tutti gli altri Baglietto, il nome era ispirato agli Indiani d’America, affiancato dalle sue iniziali (JvN) seguite da una cifra indicante il numero progressiv­o del progetto. Altra particolar­ità: gli scafi erano dipinti in un grigio militare che faceva tendenza. Del resto, come diceva Pietro Baglietto, von Neumann era un «esigente perfezioni­sta che ci spinge a fare sempre meglio, per rispondere alle sue visioni». Questo sì che è un compliment­o per un armatore.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy