Corriere della Sera

«Mettere in crisi gli uomini il mio mestiere»

Cerruti: «Chi mi sta dietro dice: strano»

- Arianna Ravelli

Reduce da una gara della Formula E in Malesia, dove è stata tamponata dopo 7 giri dall’altra donna in pista, Katherine Legge (incidente di gara, la presunta scarsa solidariet­à femminile non c’entra), davanti a una macedonia Michela Cerruti spiega come, con una laurea in Psicologia, assaggiand­o la pista per la prima volta a 19 anni (età in cui oggi si debutta in F1), è diventata la pilota (non pilotessa!) più forte d’Italia, probabilme­nte d’Europa, la prima a vincere una gara in Superstars (a Monza, nel 2011) e soprattutt­o la prima a vincere in AutoGp (campionato con monoposto da 550 cv), dove Michela ha trionfato quest’anno a Imola (dopo essere salita sul podio a Monza). «Quello che mi è rimasto dietro tutta la gara, al traguardo ha commentato: “Strano…”. I ragazzini non mettono proprio in conto che tu possa stargli davanti. Invece i piloti più maturi di fronte a una donna possono andare un po’ in crisi...».

Le donne vanno molto di moda nel motorsport ultimament­e: avere una pilota ai box

Corriamo per passione, non per provare qualcosa ai colleghi Un risultato di una donna su una monoposto ha più valore Un uomo sfida di più il pericolo, ma le donne controllan­o meglio le situazioni

attrae sponsor e telecamere, ma di rado questo si traduce in una vera occasione. «Io sarei perfettame­nte in grado di guidare una F1, non ho dubbi — è sicura Michela, capelli biondi, sorriso furbo —. Ma oggi è più difficile per tutti, i piloti pagano per correre. E io preferisco condurre le battaglie che posso vincere, l’obiettivo più realistico è diventare pilota ufficiale della Bmw, con cui già corro, vorrei arrivare in Dtm. Poi in F1 non c’è la volontà di avere una donna, altrimenti ne avrebbero già di pronte: c’è Susie Wolff, c’è la De Silvestro. Dategliela un’opportunit­à! Guardate che la De Silvestro è più forte di Ericsson! ( il pilota preso dalla Sauber, ndr) ». Nell’attesa che qualcuno si decida, Michela, 26 anni, un fidanzato tedesco che fa l’ingegnere di pista in Gp3, si è lanciata nel primo campionato con monoposto elettriche. «Quando Jarno Trulli mi ha chiamato nel suo team gli ho detto, “ma sei sicuro?”. E lui: “Io non ho preso una donna, ho preso un pilota che ha avuto una stagione buona. Se poi è anche bionda e carina

Figlia d’arte Michela Cerruti, milanese d’adozione, sogna la Formula 1 meglio”. Lo ringrazio: la Formula E è un grande progetto. Manca un po’ il rombo del motore, ma l’ambiente è di altissimo livello. Quasi tutti i piloti hanno già guidato una F1. Ho l’occasione di misurarmi con gente vera».

Come si vede, Michela è un tipo pratico: conosce ragioni di marketing, pregiudizi radicati, difficoltà oggettive (ha cominciato tardi, quando suo padre Aldo, ex pilota nelle categorie turismo, a 19 anni, la portò a seguire un corso di guida sicura con Mario Ferraris, e solo nel 2010, dopo la laurea, si è dedicata interament­e alle corse), ma sorpassa tutto con saggezza e ironia. «Certi luoghi comuni non cambierann­o mai. Ero in tv e un ospite ha detto: “Le monoposto di F1 di oggi sono così facili che anche una donna può guidarle”. Una volta mi sarei arrabbiata, ora accetto con più morbidezza. Certo non essere considerat­a una profession­ista fa girare le balle: a volte la trasformi in energia, a volte aggiunge pressione». Anche per chilometri orari la velocità, massima e limitata, che può essere raggiunta dalle auto della Formula E, novità del 2014 questo per Michela i risultati delle donne hanno un valore speciale. «Noi non scegliamo il motorsport per batterci contro gli uomini. È una passione, senza dubbio inconsueta e destinata a restare tale, perché questo è uno sport estremo e le donne saranno sempre delle eccezioni, non sarà mai normale. Però ci siamo. E meritiamo una possibilit­à. Ma la sfida non è completame­nte ad armi pari. Sulle monoposto, l’aspetto fisico non è banale: nelle Formule minori ma con macchine già potenti ci vuole forza bruta (in F1 sarebbe più facile, perché c’è il servosterz­o). Ci vuole la massa muscolare e tanta tanta voglia di farsi male in allenament­o. È per questo che un risultato di una donna in monoposto vale di più». L’allenament­o a lei ha lasciato «qualche complessin­o sulle braccia grosse», mentre le corse, unite agli studi di Psicologia, qualche riflession­e su uomini e donne: «Nelle gare di durata, o in generale quando devi ponderare certe decisioni, noi donne possiamo avere qualcosa in più. Invece a volte non siamo abbastanza istintive e in pista qualsiasi esitazione rallenta. Credo che l’uomo vada più incontro al pericolo, mentre la donna tenda ad avere più tutto sotto controllo. Per fare il pilota devi uscire dalla tua zona di sicurezza, accettare che non tutto è sotto controllo, ma guidare come se lo fosse. Gli uomini sono più bravi ad avere la mente libera. Qui non c’è spazio per pensare troppo. E neanche per la troppa femminilit­à: siamo sempre eccezioni».

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