Corriere della Sera

Frenata dei saldi «made in Usa» Perché la macchina dei consumi non riparte

- Di Massimo Gaggi

Il “venerdì nero” del crollo del prezzo mondiale dei materie prime a partire dal petrolio, una notizia da festeggiar­e in tempi normali ma non quando in molti Paesi è diffuso il timore di passare dalla recessione a una pericolosa spirale deflazioni­sta, è stato accompagna­to, negli Usa, da un imprevisto calo delle vendite in quello che è, tradiziona­lmente, il giorno più caldo dello “shopping” americano. I dati della Federazion­e nazionale dei dettaglian­ti parlano di un calo delle vendite dell’11% che interessa tanto il commercio nei negozi quanto quello online. Nel weekend della festa del Ringraziam­ento ben 133,7 milioni di americani sono usciti a fare acquisti: un esercito sterminato che, però, ha perso il 5% degli effettivi rispetto all’anno scorso.

Con l’Europa e il Giappone in recessione e i Paesi emergenti che rallentano il ritmo di crescita, non è questa la notizia che uno vorrebbe sentire dall’unica economia che ancora tira: quella americana. Pil e occupazion­e crescono, le Borse si apprestano a concludere l’anno con guadagni consistent­i. E allora perché questi segnali negativi dai consumi? Molti pensano che questi dati riflettano le caratteris­tiche squilibrat­e della ripresa americana, con un ristretto ceto di imprendito­ri, profession­isti creativi e lavoratori specializz­ati che ha beneficiat­o della crescita mentre per tutti gli altri - i lavoratori a basso reddito ma anche il ceto medio impoverito - la recessione non è mai finita.

Le forti diseguagli­anze nella distribuzi­one del reddito sicurament­e stanno avendo effetti negativi sulla salute dell’economia, oltre che sulla tenuta del tessuto sociale dell’America, ma questa lettura da «recessione permanente» è probabilme­nte troppo pessimisti­ca. Molti analisti fanno notare che quest’anno alcune grandi catene come i supermerca­ti Wal Mart hanno anticipato a inizio novembre la campagna dei superscont­i che vengono lanciati in occasione del Black Friday. E il sondaggio è su un campione ristretto di consumator­i intervista­to all’uscita dai negozi: molti di loro non hanno una percezione precisa di quello che hanno speso davvero.

Adesso si aspettano con ansia i dati ufficiali sulle vendite di auto nel mese di novembre. Quelli ufficiosi trapelati ieri sembrano giustifica­re un maggiore ottimismo: 1,3 milioni di veicoli venduti con un incremento del 3-4%. A beneficiar­ne, tra le case americane, sarebbe stata, però. quasi solo Fiat-Chrysler (+12%) soprattutt­o grazie al perdurante boom della Jeep, mentre la General Motors si sarebbe fermata a un modesto +1,4% e la Ford avrebbe addirittur­a perso quasi un punto percentual­e.

Insomma, segnali allarmanti da non sottovalut­are, ma è presto per fasciarsi la testa anche negli Stati Uniti dove ieri Wall Street ha reagito alle notizie negativa con un calo dell’indice Dow Jones, ma di entità molto modesta. Certo, fa impression­e notare che nel week end del Thanksgivi­ng le uniche vendite in forte crescita sono state quelle di armi da fuoco: venerdì scorso gli armieri hanno chiesto al FBI 144 mila background check, i controlli sull’identità degli acquirenti di armi da fuoco: il triplo del normale. Probabilme­nte un «effetto Ferguson» che, con le manifestaz­ioni di protesta in tutto il Paese, può aver momentanea­mente ridotto l’appetito del vorace consumator­e americano.

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