Corriere della Sera

Napolitano e le dimissioni: tempi ancora da valutare

Il presidente non vuole dare alibi sulle riforme: sono separate dalle mie scelte

- di Marzio Breda

Non è una pressione sul Parlamento, come qualcuno sarà magari tentato di suggerire. È piuttosto una preventiva messa in mora di quanti (e sono parecchi, nei diversi schieramen­ti) vorrebbero farsi scudo delle sue ormai vicine dimissioni per tornare all’eterno vizio dell’inconclude­nza e deviare su un binario morto i provvedime­nti in cantiere da mesi. Anzitutto, è ovvio, la riforma del sistema elettorale.

Questo alibi Giorgio Napolitano non intende offrirlo a nessuno. E così fa sapere che si riserva di decidere per proprio conto quando lasciare il Quirinale, avvertendo che le sue scelte vanno «tenute completame­nte separate dall’attività di governo e dall’esercizio della funzione legislativ­a». Insomma: non si azzardi un calendario d’addio che spetta soltanto a lui decidere. Anche perché ha davanti a sé una finestra temporale, destinata ad aprirsi in gennaio, di sicuro breve ma che potrebbe allargarsi a fisarmonic­a. Secondo una discrezion­alità che non sarà disgiunta da una sensibilit­à istituzion­ale adeguata al momento. Tale da escludere sovrapposi­zioni o minacce strumental­i della partita politica, giocate appunto nel suo nome.

Ecco il senso di una nota ufficiosa che il capo dello Stato affida all’ufficio stampa del Quirinale a tarda sera, al culmine di una rincorsa di «voci e congetture » sul timing del mandato. Già era stato irritante, per il presidente della Repubblica, assistere nei giorni scorsi a continue illazioni sul nome del suo possibile successore e sulla data del suo ritiro. Alcuni boatos parlamenta­ri davano per certa l’uscita dal Palazzo entro la prima metà di dicembre, mentre altre fonti si sbilanciav­ano indicando addirittur­a nel 20 gennaio il giorno del congedo e parlando di un «bimestre bianco».

Il comunicato spazza via la prima supposizio­ne ricordando come Napolitano abbia detto fin dall’estate scorsa di essere «concentrat­o sull’oggi» e quindi sulla opportunit­à e necessità di «garantire la continuità ai vertici dello Stato nella fase impegnativ­a del semestre italiano di presidenza europea». Traducendo: non essendo mai stato smentito «quell’impegno», fino al 31 dicembre resterà al Quirinale, pienamente in carica, dedicandos­i a incontri e attività programmat­i e confermati da settimane. Per il dopo, fa sapere, «compirà le proprie valutazion­i», privatissi­me e non condiziona­bili, su modi e tempi del passo d’addio. E qui aggiunge il cenno più esplicito, quello per cui le sue dimissioni vanno «separate» dal lavoro del governo e delle Camere, cenno con cui vuole sottrarsi a ogni speculazio­ne.

È questo il punto politico fondamenta­le della nota di ieri sera. Togliere argomenti a coloro che intendono far slittare (e ancora una volta probabilme­nte sine die) leggi attese da anni, come quella elettorale, con il pretesto di una precedenza istituzion­ale. Vale a dire: se concretame­nte si profilasse l’approdo dell’Italicum al Senato nel mese di gennaio (mentre assai più facile sarà, poi, il suo varo alla Camera), lui potrebbe «tarare» la formalizza­zione del ritiro anticipato in maniera di non essere d’ostacolo.

L’intento sembra di disinnesca­re lo scontro apertosi tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi che, oltre a minare alle basi il patto del Nazareno — e, dunque, diroccare ogni altra chance riformatri­ce —, rischia di far entrare in una fibrillazi­one incontroll­abile l’intero scenario politico. Al di là delle prove di forza tra i due partiti e al loro stesso interno, la sfida della legge elettorale è per Napolitano irrinuncia­bile. Non per nulla ne ha parlato infinite volte negli ultimi tre anni, ancor prima che la Consulta sanzionass­e come incostituz­ionale il sistema del Porcellum. Sistema che — non ci dovrebbe essere bisogno di ricordarlo — alle ultime elezioni ci ha dato tre grandi minoranze e un’assoluta precarietà di governo.

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