UNA MOSSA CHE CERCA DI PUNTELLARE IL GOVERNO
Continuavano a girare voci secondo le quali il 16 dicembre, durante il saluto alle alte cariche dello Stato, Giorgio Napolitano avrebbe potuto annunciare che si dimetterà. Il comunicato diffuso ieri sera dal Quirinale lo smentisce, richiamandosi al semestre di presidenza italiana dell’Europa. Significa che prima di fine anno non succederà nulla. Ma ormai l’attesa per le sue decisioni sovrasta e condiziona i lavori parlamentari. E viene perfino usata come alibi per rinviare le scadenze che il governo ritiene tuttora di dover rispettare. La volontà di Silvio Berlusconi di rimandare il «sì» di Forza Italia alla riforma elettorale a dopo la partita per il Quirinale si comprende meglio su questo sfondo. Tra l’altro, gli consente di non accettare un compromesso che ritiene poco favorevole. Sostenendo che tutti sono già con l’occhio rivolto alle urne di primavera, lascia capire di essere pronto ad avallare la fine anticipata della legislatura senza cambiare sistema elettorale. «Tutte le volte che si usa questo argomento si vuole buttare la palla in tribuna», obietta il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini. Probabilmente è così. Ma sull’atteggiamento del centrodestra influisce anche il sospetto, mai del tutto rimosso, che il premier voglia accelerare su questa riforma per poi andare a votare. A sentire Guerini, le condizioni per siglare un’intesa prima di Natale rimangono in piedi. Il testo esaminato dalla commissione Affari costituzionali cammina «sotto la regia di Anna Finocchiaro», ricorda. Il vice di Matteo Renzi rammenta anche che la riforma era un impegno preso da tutte le forze politiche dopo le elezioni del 2013. E infatti il presidente del
Il rischio Il timore che le voci sulle dimissioni di Napolitano terremotino la maggioranza e diventino un pretesto per ulteriori rinvii in Parlamento
Consiglio chiede al Pd di accelerare, e non di rallentare. La proposta di Berlusconi di scegliere prima il capo dello Stato «va restituita al mittente; e la legge elettorale calendarizzata il prima possibile». Si delinea dunque una guerra sui tempi del Parlamento tra i contraenti del patto del Nazareno: a conferma che, seppure nella confusione, gli interessi cominciano a divergere. L’attacco sferrato ieri dal premier contro Beppe Grillo dimostra la volontà di utilizzare la crisi del M5S. «È una questione istituzionale da non buttare via», spiega a una Direzione del Pd nella quale ha dovuto usare anche toni difensivi. La novità della «stanchezza» di Grillo e del suo passo indietro può consentire un confronto tra Pd e dissidenti del M5S per il Quirinale. È la consacrazione di una variabile che fa passare in secondo piano ogni altro tema, per quanto importante: la vera ipoteca che potrebbe frustrare la volontà di trasmettere alle Camere il senso di urgenza delle riforme, condiviso con diffidenza.