Rublo, petrolio, sanzioni Così il Cremlino ha ceduto
E gli italiani potrebbero riuscire a tirarsi fuori senza danni
l’incarico di costruire il tratto offshore (la russa Gazprom ha il 50%, la francese Edf e la tedesca Basf il 15% ciascuno) e che da tempo ha ridimensionato il suo impegno a non più di 600 milioni di euro. Il gruppo di Claudio Descalzi dal 2012 può avvalersi di un paio di clausole che gli consentono di vendere le sue azioni a Gazprom e di abbandonare senza danni la partita. Entrambe si stanno verificando: a causa delle sanzioni Ue-Usa agli istituti russe il progetto non si sta finanziando con il credito bancario (almeno per il 70% secondo gli accordi); e neppure risulta in regola con le norme Ue, che prevedono che chi produce gas (Gazprom) non può anche trasportarlo. Proprio a quest’ultimo ostacolo si è richiamato il presidente russo nel suo riferimento alle pressioni Ue sulla Bulgaria.
L’Eni, insomma, potrebbe lasciare il South Stream senza colpo ferire, e senza che gli altri suoi contratti di fornitura di gas russo siano toccati. Il Cane a sei zampe non ha commentato, ma non si può escludere che l’ultima trasferta a Sochi di Descalzi, lo scorso 24 novembre, sia stata l’occasione per un definitivo chiarimento con il capo di Gazprom, Alexei Miller.
È ovvio, tuttavia, che l’affaire South Stream ha dei risvolti strategici di più ampio respiro rispetto a quelli relativi al coinvolgimento italiano. A prima vista si potrebbe dire che al di là degli strali verso l’Ue sia proprio l’effetto delle sanzioni finanziarie (e tecnologiche) occidentali a spingere il presidente russo alla cancellazione del progetto, il cui costo è lievitato negli anni fino a 23,5 miliardi di euro. Una cifra non indifferente per chi, come la Russia, ha visto ridursi da giugno il prezzo del barile del 40% (gli introiti da greggio coprono metà del budget statale) e il rublo deprezzarsi di un terzo da inizio anno. E così, dopo che il colosso del petrolio Rosneft ha dovuto rinunciare alle prospezioni nell’Artico con la texana Exxon, ora sarebbe il turno di Gazprom tirare la cinghia. Una serie di elementi che contribuirebbero a comporre uno scenario di crescente difficoltà dell’orso russo, messo sempre di più con le spalle al muro.
Ma altre letture della situazione