Fidelio eroe della libertà
Se il Parsifal è la più grande Opera mai scritta, se i Maestri cantori, il Falstaff e Il cavaliere della rosa sono le più deliziose Commedie musicali (con profonda riflessione sulla tragedia della vita) mai scritte, il Fidelio è l’Opera più celestiale mai scritta. Non ripeterò che si tratta del più potente documento artistico contro il Terrore giacobino pur se ripeterlo giova oggi che si tenta di contrabbandarlo siccome parto rivoluzionario. D’altronde rimandare ai miei minuziosi articoli pubblicati sul tema per i lettori del «Corriere» è poca cosa: intendo invece consigliare di nuovo il più bel libro mai scritto su Beethoven, quello monumentale di Piero Buscaroli che la Rizzoli ha per fortuna, dopo la prima edizione di dieci anni fa, ripubblicato nella Bur. È un’opera che onora la cultura italiana, che non ne è degna e non ha saputo recepirla; ma lo stato della cosiddetta musicologia è miserabile anche all’estero.
Nessuno come il Buscaroli ricostruisce la storia della composizione, del fatto storico che ne è all’origine, degli antecedenti operistici francesi e italiani. Io mi permetto di ricordare che per comprendere come il Terrore sia stato la più perversa macchinazione contro l’uomo mai escogitata occorre conoscere un’opera storica di Manzoni quasi sottaciuta e occultata, La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859. Saggio comparativo.
Non ripercorrerò antologicamente le bellezze della suprema partitura che resta tale a onta dell’appartener il Fidelio all’ibrido genere della Commedia musicale ( Singspiel), con dialoghi parlati. Ma questi non preponderano e vanno rarefacendosi a grado che l’Opera prosegue. E, per ciò che attiene al Recitativo, Beethoven, con Abscheulicher, wo eilst du hin, nel primo atto, offre uno dei più potenti Recitativi accompagnati mai composti, direttamente rifacentesi alla Scena e Aria italiana Ah, perfido! che il giovane aveva scritta nel 1796 su versi di Metastasio. Ma avviene nel passaggio all’Opera qualcosa di magico: dal Mi bemolle maggiore della composizione giovanile il Sommo trascorre al Mi maggiore, ch’è il tono delle due più incantate Sonate pianistiche, l’op. 90 e l’op. 109, e del sublime Lied corale Opferlied. Leonora canta poi l’Aria con i tre corni soli che, nelle due sezioni, invocando la Speranza, è invocazione sì alta che dal lirico passa all’epos vergiliano; e tale invocazione possiede un inequivocabile accento religioso.
E infatti adesso giova dire che il testo drammatico del Fidelio, basato su di un avvenimento effettualmente svoltosi in Francia, spesso dileggiato dai musicologi e invece di grande qualità e intensità drammatica, viene accolto da Beethoven in una prospettiva che potremmo chiamare solo religiosa. Il Fidelio è il dramma della lotta per la libertà. Non si vuol negare il suo aspetto di viva attualità politica; e tuttavia i prigionieri che vengon portati alla luce dalla segreta nella quale giacciono (e Beethoven introduce il coro con vaganti accordi di dominante su pedale di tonica, giacché i prigioni sono abbacinati e non vedono) anelano alla libertà spirituale, e le catene, come quelle di Florestano, sono loro allestite dal peccato e dall’ignoranza. Il coro dei prigionieri ha inequivocabile carattere religioso; come lo hanno il duetto tra Florestano e Leonora quando ella ha messo in fuga il tiranno Pizarro; e tutto l’ultimo quadro del Fidelio.
Il rapporto stretto tra il Fidelio e la Nona Sinfonia non sfugge ovviamente a nessuno. Ma ciò assevera il mio asserto. Il carattere religioso (e non solo nazionalistico, come vuole il Buscaroli) della Nona Sinfonia mi pare palese: secondo me l’ultimo movimento è il vero e proprio Magnificat di Beethoven. Scrive Wagner: «Non sono le idee espresse dalle parole di Schiller che attirano la nostra attenzione ma il timbro cordiale del coro che ci attrae a unire la nostra voce a partecipare come comunità a un ideale servizio divino, quel che accade all’entrata del Corale nelle Passioni di Sebastian Bach».
Ciò tuttavia non toglie che a me la Missa solemnis
Il testo è basato su un avvenimento effettivamente accaduto in Francia Riemerge in queste note il carattere religioso presente nella «Nona Sinfonia»
paia artisticamente ancor più alta: Beethoven stesso la definisce «la mia opera più perfetta».
Ma carattere religioso e chiave dell’intera opera (torno al Fidelio) è in un brano breve, prima facie un mero Recitativo, che però i sommi direttori d’orchestra ben hanno compreso affidandolo a cantanti di prima grandezza. Voglio citare soprattutto l’incisione meravigliosamente diretta da Karl Böhm che, se ha come Rocco Gottlob Frick, fa intervenire quale Don Fernando un sontuosissimo Martti Talvela. Del pari fa Karajan che nella sua incisione (uno dei punti più alti della storia del disco) affida il ruolo a Franz Crass. Don Fernando è il ministro di Stato che giunge in apparenza per ispezionare il carcere, in realtà per far trionfare ex alto la libertà: il suo Recitativo Des besten Königs Wink und Wille ( Per cenno e volere dell’ottimo de’ Regi), che approda a elisia melodia ove si parla dell’umana fratellanza, ce lo mostra siccome autentico inviato divino; e la fratellanza alla quale egli accenna è evidentemente quella in Cristo: significativo, e particolare da solo bastevole a mostrare il continuo sforzo di perfezionamento di Beethoven nella costruzione, che nella Leonore esso manchi.
Di quest’incisione diretta da Böhm esiste un «video»: la regia di Rudolph Sellner ottiene una tale recitazione dagl’interpreti che, anche a non conoscere il tedesco, si comprende ogni parola. Un sol difetto possiede, e purtroppo gravissimo: tra il I e il II atto non fa la necessaria pausa e addirittura durante l’introduzione orchestrale assistiamo alla ri-
Il di Ludwig van Beethoven inaugura la Stagione della Scala il 7 dicembre. Direttore Daniel Barenboim, regia di Deborah Warner
L’opera è in due atti su libretto di J. Sonnleithner e G.F. Treitschke. Prima rappresentazio ne: 20 novembre 1805 al Theater an der Wien
Nella foto grande il soprano Anja Kampe durante le prove. Qui sopra: Beethoven, Karajan e Barenboim