Corriere della Sera

Weinraub, la lingua architetto­nica dal Bauhaus al sogno di Israele

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collocarsi in prossimità con una delle esperienze più interessan­ti della storia Movimento Moderno come la costruzion­e di Tel Aviv. In questa fase storica la Palestina era sotto il Mandato Britannico e il governo inglese aveva affidato nel 1925 a Sir Patrick Geddes, uno degli urbanisti più interessan­ti e innovativi della cultura modernista europea, il piano di espansione della città che diventa, tra la seconda metà degli anni Trenta e gli anni Cinquanta, un sorprenden­te laboratori­o dell’architettu­ra moderna influenzat­a dall’esperienza del Bauhaus. E questo grazie alle decine di architetti ebrei tedeschi costretti a lasciare il Paese natale a causa del nazismo.

La «White City» di Tel Aviv diventa così il primo luogo in cui le ricerche di autori come Erich Mendelsohn, Richard Kauffmann e Arie Sharon generarono una fruttuosa relazione tra la cultura moderna tedesca e il contesto mediorient­ale, dando forma a una delle prime esperienze tipologich­e e

L’obiettivo Dietro il biancore degli edifici di Tel Aviv la sfida di coniugare socialismo e funzionali­smo

Munio Weinraub (1909–1970), padre di Amos Gitai, frequentò, prima a Dessau e poi a Berlino, la Bauhaus, la scuola diretta da Gropius, dove incontra Kandinsky e Mies van der Rohe. Nel 1933 viene condannato come «traditore del popolo tedesco» e costretto a emigrare in Svizzera per poi trasferirs­i ad Haifa. In Israele ha progettato 8.000 edifici tra cui il memorial dell’Olocausto a Yad Vashem e la sinagoga centrale di Haifa linguistic­he consistent­i nella storia d’Israele. Ma volendo cercare di andare oltre l’abbacinant­e, elegante biancore di queste architettu­re, credo che probabilme­nte uno dei contributi più profondi della Bauhaus, che puntava a una relazione assoluta tra verità delle materie utilizzate, funzione e forma progettata, stia soprattutt­o in tutta quella lunga serie di architettu­re collettive che vengono progettate da questa prima generazion­e di architetti «locali» tra gli anni 50 e 70.

La costruzion­e di edifici pubblici, case collettive e, soprattutt­o, dei primi kibbutz è il banco di prova di una nascente cultura architetto­nica che incrocia gli insegnamen­ti del Funzionali­smo con una visione autarchica e profondame­nte socialista della prima fase della nascita di Israele. Opere come quelle di Amos Weinraub, caratteriz­zate dall’uso di pochi materiali locali integrati con il cemento armato, da un richiamo chiaro alla lezione del Movimento Moderno e da una forma di severità linguistic­a e distributi­va chiara e, insieme, poetica, rappresent­ano molto bene la dimensione eroica di una comunità che si riconosce nei suoi spazi e in una precisa missione politica.

Il progetto per il memoriale per l’Olocausto dello Yad Vashem, tra le ultime opere dell’architetto israeliano, diventa una testimonia­nza di questa visione in cui forma del paesaggio, materia e simboli si fanno corpo dell’architettu­ra e suo messaggio per il futuro.

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