Elezioni e referendum
Caro Romano, cosa pensa del fatto che, mentre per un referendum sull’abolizione della caccia allo stornello, perché sia valido, è necessario che si esprimano il 50% + 1 degli elettori, per la nomina di deputati e di giunte regionali o comunali è vantata come una grande vittoria avere il 35 o il 40% di una percentuale di votanti del 40% e gli eletti si sentono totalmente titolati a governare?
Milano Quando hanno scritto l’art. 75 («la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi»), i costituenti hanno voluto evitare che del referendum abrogativo venisse fatto un uso troppo frequente e capriccioso. Quando non hanno fissato alcuna quota per la validità delle elezioni, i costituenti hanno voluto evitare che il funzionamento dello Stato venisse paralizzato dallo «sciopero» degli elettori. Ciò detto, credo anch’io che sarebbe utile diminuire al 30/40% la quota di partecipazione necessaria per la validità dei referendum abrogativi.
Notizie sull’ecomostro
Un’ottima notizia: è stato finalmente abbattuto l’ecomostro di Alimuri che deturpava da 50 anni la costa sorrentina; una pessima notizia: ci sono voluti 50 anni perché ciò avvenisse; e infine una notizia che non ci sorprende: le case abusive sono il 19,8% in Campania, il 18,2 in Sicilia, il 12,8 in Puglia Le lettere firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a «Lettere al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579 Risposte alle 19 di ieri
La domanda di oggi
Emma Bonino: i tempi sono maturi per una donna presidente della Repubblica. Siete d’accordo?
C’è un argomento che raramente viene affrontato dagli storici: la «ruralizzazione» dell’intera società e il ritorno alla società contadina voluto da Mussolini. L’inurbamento era visto come la causa dell’abbassamento della natalità e l’origine di disordini sociali. Questo obiettivo fu tale da condizionare le scelte economiche fin dal 1928; tuttavia Mussolini fondò l’Agip nel 1927, inaugurò nuovi modelli di automobili e sostenne la meccanizzazione dell’agricoltura. La «ruralizzazione» della società era forse solo una sorta di pretesto per ammansire le masse? Altrimenti non si spiegherebbero le sue scelte innovative nel campo industriale.
PCaro Campomenosi, er rispondere alla sua domanda le propongo un confronto fra due Paesi, l’Italia e la Russia sovietica, che avevano alcuni aspetti comuni. Entrambi avevano fatto una rivoluzione industriale tardiva, all’inizio del nuovo secolo. Entrambi avevano una economia prevalentemente agricola. Entrambi erano recentemente emersi da una conflitto in cui le masse contadine, spesso analfabete, erano state la materia prima dei rispettivi eserciti. I partiti e i governi liberali ne erano consapevoli e speravano che il problema sarebbe stato risolto gradualmente dalla educazione e dallo sviluppo economico. Ma la gradualità, per i partiti autoritari che conquistarono il potere dopo la Grande guerra, non era necessaria.
Alla fine degli anni Venti, dopo avere solidamente installato se stesso al vertice dello Stato, Stalin dichiarò guerra ai kulaki (i piccoli proprietari creati dalla riforma Stolypin nei primi anni del Novecento) e affidò a poco meno di 30.000 militanti del partito il compito d’imporre,
Indennizzi ai proprietari?
A proposito di ecomostri, gli scheletri di Punta Perotti furono costruiti con regolare licenza edilizia. E difatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato con la forza se necessario, la creazione di fattorie collettive (i kolkoz) che divennero da quel momento la lunga mano del partito comunista nella Russia rurale e in Ucraina. Conosciamo le disastrose conseguenze umane di quella politica, ma sarebbe ingiusto negare che la collettivizzazione della terra abbia fatto del contadino russo un cittadino sovietico, indottrinato ma alfabetizzato, servitore di uno Stato padrone, ma destinatario di previdenze e servizi ignoti alle generazioni precedenti. Ogni giudizio che non tenga conto delle condizioni delle campagne russe prima di Stalin sarebbe superficiale e assurdo.
Mussolini agì diversamente. Conosceva troppo bene la valle Padana e i suoi contadini per imitare il modello sovietico. Cercò di creare un cittadino-agricoltore facendone con toni molto retorici il nobile rappresentante di una nazione rurale che conservava e custodiva nella terra le maggiori virtù della sua identità storica. Inventò la battaglia del grano per dare all’agricoltura una missione nazionale nell’interesse dell’intero Paese. Migliorò le condizioni dell’Italia rurale con le bonifiche e la costruzione di nuove città. Si servì del mondo agricolo per giustificare la sua politica di espansione coloniale, ma anche per impedire che il contadino diventasse troppo rapidamente operaio, quindi più facilmente esposto al contagio di altre ideologie.
Il torso nudo, quando partecipava alla cerimonia della mietitura, era l’uniforme che Mussolini indossava per rivendicare le sue origini contadine. Non è vero tuttavia che la politica agricola del fascismo sia stata implicitamente anti industriale. Anche durante il ventennio fascista l’Italia ebbe imprenditori che contribuirono alla modernizzazione del Paese. Ma Mussolini, probabilmente, si fidava dei contadini più di quanto si fidasse degli operai.
Davanti alle nostre coste
Il Califfato (libico) è ormai davanti alle nostre coste. La