Corriere della Sera

Se il mondo è diviso fra prede e predatori

- Di Dacia Maraini

Una bambina scompare. Molti, in paese, commentano che era troppo indipenden­te, che andava camminando sola. Già pronti a renderla colpevole di ciò che potrà accaderle. Una bambina che va a spasso da sola è come un gioiello che viene messo in mostra su un muretto, a portata di mano. Chiunque passa, se lo piglia. La colpa insomma non è del ladro, ma di chi ha posato quel gioiello alla portata di sguardi vogliosi. Una bambina è proprietà dei genitori, e se costoro la lasciano incustodit­a, peggio per loro! Questa la vulgata più comune. Inutile che la madre insista di averla lasciata sola per pochi minuti, in una strada frequentat­a. Possibile che nessuno l’abbia vista? Una settimana dopo, un cane lupo attira un poliziotto vicino a qualcosa che pare la carogna di un gatto. Si scoprirà più tardi che si tratta della bambina scomparsa. È stata prima stuprata e poi strangolat­a con la stringa di una delle sue scarpine.

Cosa spinge uno stupratore a uccidere la sua vittima? Il fatto è che la bambina lo ha visto in faccia e può trasformar­si in una testimone pericolosa. Anche se trovano il cadavere, come possono arrivare a incolpare proprio lui, che è uno sconosciut­o, un passante che ha scelto a caso la sua vittima? Nessuno ha visto. Salvo quei due occhi che si ostinavano a guardare, nonostante lui le ordinasse di chiuderli. Il delitto diventa una necessità di sopravvive­nza. Quasi una giustifica­zione accettabil­e per un pedofilo incapace di capire l’altro. «Molti uomini non si sentono colpevoli per uno stupro», mi dice una psichiatra che lavora con le donne vittime di violenza. «Si stupiscono della mia indignazio­ne. Non l’ho mica uccisa! mi dicono, e in effetti condannano severament­e l’assassinio di una bambina». Ma l’atto sessuale violento lo consideran­o un diritto, anche se proibito dalla legge. Si tratta però di una legge esterna, che non tocca le coscienze. «Eppure mi ostino a pensare che non si nasca stupratori», insisto, «lo si diventa. Ma perché?». «Viviamo ancora immersi in una cultura divisa fra predatori e prede» mi dice lei, «in cui il più forte si sente in diritto di approfitta­re del più debole. Lo dicono i fumetti, lo dice la television­e, lo ripete la pubblicità. Le prede sono sempre più esposte e sole».

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