Corriere della Sera

«Risorgerem­o» I dc e la profezia che si avvera

- Di Gian Antonio Stella

«Un giorno noi dicì ci toglieremo il sudario e risorgerem­o come Lazzaro». Esattament­e vent’anni dopo, davanti alla prospettiv­a di un trionfo della «Gens Democristi­ana» nella sfida quirinaliz­ia, Gerardo Bianco ammicca divertito: «L’ho detta io, quella frase? Non ricordo. Si vede che non ero ancora rimbambito».

Mai avuto paura dell’autoironia, «Gerry White». Basti ricordare quando, nominato ministro dell’Istruzione, disse: «Finalmente potrò comandare su mia moglie professore­ssa». («Quella me la ricordo: lei non me l’ha mai perdonata».) Men che meno dice di temere quella che per decenni è stata la maledizion­e democristi­ana: i franchi tiratori: «A naso, stavolta dovrebbero essere ininfluent­i. Anche perché dovrebbero venire disinnesca­ti da altri voti esterni…».

Salgono sbuffi di Balena Bianca, nel Transatlan­tico di Montecitor­io. Sbuffi come non se ne vedevano da anni. Molti anni. Ed è tutto un viavai, in questi giorni, di figure che per molto tempo o solamente per lo spazio di un mattino hanno avuto un ruolo nella vita del nostro Paese nella I Repubblica.

Certo, non mancano post socialdemo­cratici come Carlo Vizzini, erede in gioventù del seggio del papà Casimiro e poi segretario Psdi e più volte ministro coinvolto in polemiche sulle assunzioni alle Poste («Una scelta che rivendico», disse, «disposi che fosse data la priorità alle regioni che avevano la più alta densità di disoccupat­i, cioè Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata: qui erano il 24%, in Lombardia il 4») e poi ancora per qualche stagione forzista e berlusconi­ano. E non mancano socialisti di lungo corso come Paolo Pillitteri, il cognato di Craxi che Bettino mise a fare il sindaco di Milano e che fu travolto dal crollo di tutto il sistema socialista. E ancora reduci nostalgici di quella stagione come Lucio Barani, che quando era sindaco di Aulla concesse la cittadinan­za onoraria «ai cromosomi X e XY, dei maschi di casa Savoia» e arruolò un «brain trust» di sedicenti fattucchie­re per togliere al paese il malocchio rosso e oggi, senatore e segretario del Nuovo Psi sospira: «Con Mattarella si avvererà l’incredibil­e profezia di Craxi: i comunisti moriranno democristi­ani».

Ma sono soprattutt­o loro, gli orfani dello scudocroci­ato, a riaffaccia­rsi con uno spirito nuovo, niente affatto penitenzia­le, in questo Parlamento che per decenni dominarono. Manca il già citato «Gerry White» che aveva preso impegni in Calabria ma non vede l’ora di farsi vedere. Mancano i defunti. Manca Paolo Cirino Pomicino, che sta a Londra ma anche lui conta le ore per rientrare. Gli altri, chi più chi meno, si sono fatti vedere tutti. O quasi tutti.

Questo, esulta Pomicino dall’Inghilterr­a, «è il trionfo della Prima Repubblica. Dopo vent’anni tutti questi innovatori hanno dovuto cercarsi un inquilino del Colle scegliendo­lo tra i protagonis­ti o i comprimari

«L’amico Sergio» Totò Cardinale, eletto per la prima volta nel 1987: «L’amico Sergio non avrà problemi»

della Prima Repubblica. Ci faccia caso: neppure uno, dei nomi presi in consideraz­ione, è figlio della tanto mitizzata Seconda Repubblica. Per non dire di altre cose». Esempio? «Il trucco di saltare con la scheda bianca le prime tre votazioni, più complicate, è platealmen­te figlio di una certa cultura dc». Silvio Berlusconi si sente bidonato? «Ben gli sta. Non ha mai voluto affidarsi agli ex democristi­ani. Adesso gli eredi del Pci l’hanno fatto e si ritrovano al 40%!». Alcuni parlamenta­ri più giovani, magari del MoVimento 5 Stelle, cercano di individuar­e questo o quell’ospite anzianotto che scivola nello struscio con l’aria di riassapora­re un’abitudine antica, come se assistesse­ro all’inaspettat­a apparizion­e di creature provenient­i dal passato più profondo. Ecco un Ceratosaur­us, e poi un Camptosaur­us, un Megapnosau­rus, un Torvosauru­s… E questi da dove escono?

È come se fosse rovesciato, di colpo, quel Mondo Nuovo invocato dopo l’abbattimen­to della I Repubblica sotto i colpi delle inchieste giudiziari­e. Quello che trovava ragion d’essere nella celebre battuta di Antonio Martino: «Abbiamo fatto esperienza dei politici di esperienza e non è stata una bella esperienza».

Ed ecco Sergio d’Antoni, che quando era leader della Cisl pareva avere in pugno un pezzo d’Italia e a un certo punto fondò un movimento nuovo, ovviamente neo-dc, insieme con Pippo Baudo: «Ho sentito che qualcuno teme che anche a Mattarella possa accadere quel che accadde ad Arnaldo Forlani, impallinat­o dai franchi tiratori. Io non credo sia possibile… Non vedo come si possa votare contro una persona dello spessore di Sergio Mattarella».

Salvatore Cardinale, siciliano di Mussomeli, dicì dai tempi lontani in cui Paolo Emilio Taviani ricambiava l’ostilità di Fanfani spiegando che «nella vita ci sono solo due cose belle, le donne e l’odio perenne per Amintore», passa il pomeriggio a tessere un accordo con gli alfaniani e i berlusconi­ani siculi e a impestare col sigaro il corridoio fumatori che accoglie gli schiavi del vizio e i malcapitat­i costretti per ragioni profession­ali a respirare l’irrespirab­ile.

Eletto deputato la prima volta nel 1987, assicura gongolante che «l’amico Sergio non dovrebbe avere problemi. Raffaele Fitto, che non a caso è un rampollo cresciuto in casa dicì e ha imparato in fretta come si fa politica, ha già detto che lui e i suoi lo votano. Alla fine, secondo me, i voti potrebbero essere più del previsto. Raccolgo confidenze. Non ha idea di quanti parlamenta­ri e grandi elettori siciliani vengano raggiunti in queste ore dalle telefonate della moglie o dei figli: “Non penserai mica di votare contro Mattarella?!”. Li conosco, i miei: so cosa faranno».

C’è da credergli, che li conosca. Disintegra­ta la Dc, «Totò» ha circumnavi­gato negli anni tutto il globo dei partitini nati dal Big-Bang scudocroci­ato: Ccd, Udr, Udeur, Ppi, Dl… Una diaspora che Mino Martinazzo­li aveva ben previsto: «Se la Dc si dovesse spaccare non si spacchereb­be in due ma in tre, in quattro, in cinque, rendendo ininfluent­e la presenza dei cattolici». Va da sé che, nel partito democratic­o di oggi, si trova come un fagiolo nel baccello.

Rosy Bindi, che emerse negli ultimi anni della Prima Repubblica come una specie di Giovanna d’Arco scelta come commissari­o da Martinazzo­li per bonificare il partito in Veneto («Cerco uomini da mettere intorno non a un interesse, ma a un disinteres­se!») ha smesso i musi lunghi che aveva fino all’altro ieri e pare beata come se avessero scelto lei stessa per salire al Colle. La rivincita, per lei, è doppia. Dovesse andar bene la conta di oggi, sarebbe il trionfo di quelli che il cardinale Alfredo Ottaviani, roccioso difensore delle tradizioni cattoliche Sopra e sotto La vignetta fatta circolare dai leghisti ieri a Montecitor­io: sotto la «carrozzeri­a» del Pd c’è sempre la vecchia macchina della Democrazia Cristiana che Renzi si appresta a rimettere in moto: è il leitmotiv della giornata politica e teorico di una Dc destrorsa, chiamava con sprezzante ironia i «comunistel­li di sacrestia». Quelli che lo stesso Berlusconi, come ricorda il senatore Augusto Minzolini, teme più ancora di quanti ha bollato negli anni come «i figli di Stalin».

Sintesi dell’incubo: l’eventualit­à che Mattarella diventi «una specie di nuovo Scalfaro». Un cattolico vecchio stampo che chiamava la Madonna « la Mamma, la Padrona, la Splendidis­sima, la madre del bell’Amore, la castellana d’Italia, la Corredentr­ice, l’Ancilla» e faceva mostra di monacale umiltà («Il paragone con l’asino nella nostra povera vita vale sempre. Anche per me. Perché la parentela col somaro c’è sempre, non si perde con l’età») ma per sette anni si mise di traverso più o meno a tutti gli obiettivi del Cavaliere.

Questo è l’incubo di Berlusconi. Il timore che ciò che si sta ricostitue­ndo dentro il Pd e dentro il Parlamento e dentro il suo stesso partito grazie alle insubordin­azioni «del giovine Raffaele», finisca per stritolare ciò che resta (pochissimo, rispetto ai proclami di una volta) del «partito liberale di massa» che diceva di avere in testa al momento di scendere in campo.

E vedere tutti insieme questi antichi e novelli dicì che stanno un po’ di qua e un po’ di là ma che oggi potrebbero trovare una sintesi due anni fa impensabil­e, fa tornare in mente quanto spiegò un giorno, in romanesco, il braccio destro di Andreotti, Franco Evangelist­i: «Nella Dc nun se bbutta niente. Mai metterse ‘n testa di dettare i comandamen­ti del buon diccì. Cominci a dire: primo, devi fa’ così; secondo, non devi fa’ cosà, terzo, parla così, quarto questo, quinto quello e daje a elencà... None! Devi dire: fate come vi pare, basta che portate voti».

Neppure uno dei nomi presi in consideraz­ione è figlio della Seconda Repubblica. Un trionfo Paolo Cirino Pomicino

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In Aula Rosy Bindi inizia la sua carriera politica con la Democrazia Cristiana, nel 1989. Oggi è nel Pd (foto LaPresse)

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