Dialoghi
I comandi vocali Tornare a parlare (con le macchine)
Ci abitueremo. Parlano e noi parliamo con loro. Con una certa riverenza, a volte. Anche se c’è una differenza generazionale su modi e sentimenti con cui ci rivolgiamo alle macchine. Parlare alla tv, ordinare al termostato o alla lavatrice di mettersi in funzione, dettare una mail o un sms diventerà naturale quanto una conversazione al cellulare. Per il momento gli smartphone, e i programmi e le applicazioni che li rendono quasi umanamente capaci di interagire, restano ancora gli apparecchi emblematici dell’evoluzione del riconoscimento vocale di questi ultimi anni. Un’evoluzione che, con il crescere della possibilità di processare grandi quantità di dati attraverso il cloud computing, ha dato alle macchine la capacità di comprendere il significato delle nostre parole. Con l’enorme diffusione dei social network avevamo ritrovato la scrittura: all’inzio frettolosa, ma i dialoghi e gli scambi stavano riaccendendo il piacere della narrazione. La voce che si rende disponibile ci riporta alla parola parlata, forse più spiccia ma più corporea.
Le macchine che emulano comportamenti umani creano scenari da una parte di catastrofiche perdite di umanità dall’altra è il sogno che si realizza: quella tecnologia antropocentrica auspicata da Michael Dertouzos, uno dei creatori del World Wide Web e direttore del laboratorio di “Computer Science” del Mit di Boston.
Per gli adolescenti è già linguaggio: abbandonata la scrittura, anche in chat usano la voce. Gli adulti in genere ci provano: con parolacce a domande imbarazzanti. A cui la voce risponde a tono. E non sempre allo stesso modo. Provate a mandare all’inferno Siri: «La mia politica si basa sulla separazione tra spirito e silicio»”, è la risposta. Ripetetelo, la reazione potrebbe essere: «Ti chiederei di rivolgere le domande a un esperto, possibilmente un essere umano». Salvo poi dirvi che non riesce a trovare un posto che corrisponda all’inferno. Questione di tono, di ritmo, le macchine ci seguono e noi facciamo le prove generali di futuro. Chiedendo delucidazioni sul senso della vita, raccontando a un algoritmo i traumi irrisolti dell’infanzia, intavolando conversazioni su Kubrick, Sartre o su la saga di Harry Potter. Assistenti vocali è il nome in gergo dei diversi programmi e applicazioni, Siri, Cortana Google Now i piu noti, pensate proprio come assistenti personali che in alcuni casi arrivano anche a modularsi e adeguarsi per conoscerci ed offrire risposte tagliate su misura di chi le utilizza. Sono educate quando non vengono infastidite troppo. Si può chiedere loro di ricordarci di fare la spesa, darci la sveglia. E in più meteo, indirizzi di ristoranti e, ovviamente, notizie.
Le macchine imparano. Per esempio Cortana, di cui è uscita a dicembre la versione italiana, avvisa del traffico prima di fornire indicazioni stradali. Dovete chiedere alla suocera se può tenervi i bambini per il week end e temete di dimenticarlo? Quando le telefonerete o lei chiamerà, prima che si apra la comunicazione vi ricorderà il messaggio. Secondo un’indagine di Google sull’uso dei sistemi vocali il 23% degli adulti risponde mentre è in cucina. I ragazzi tra i 13 e i 17 anni lo fanno quando vogliono telefonare a qualcuno (43%), per chiedere aiuto quando fanno i compiti (31%) e per riprodurre un brano musicale (30%). Le persone di 30/40anni lo usano per chiedere indicazioni (40%) o per dettare messaggi di testo (39%). Resta il fatto che gli adulti (il 45%) ammettono che di fronte al controllo vocale provano imbarazzo. «Nei focus organizzati per studiare comportamenti e necessità delle persone che avrebbero potuto utilizzare sistemi vocali il 79 % ne conosceva l’esistenza, solo il 42 % lo usava», dice Claudio Grego, program manager di Bing e Cortana. «All’inizio erano impacciati, ma dopo le prime parole, sentendo che il programma oltre a rispondere era anche reattivo, iniziavano vere conversazioni». Parlare ad alta voce, anche se sappiamo che un’intelligenza artificiale non è umana, crea connessioni immediate. Da qualche parte nelle profondità del nostro cervello la pensiamo reale. E il fatto che interagisca, a volte in modo sorprendente e paradossale, è intrigante. E quindi come distinguere la «buona» tecnologia da quella «cattiva»? Nel suo «La rivoluzione incompiuta», Dertouzos prova a rispondere. E ci ricorda che la vera rivoluzione digitale e tecnologica è quella che si adatta alle persone. Non il contrario.