Corriere della Sera

Dialoghi

I comandi vocali Tornare a parlare (con le macchine)

- di Luisa Pronzato

Ci abitueremo. Parlano e noi parliamo con loro. Con una certa riverenza, a volte. Anche se c’è una differenza generazion­ale su modi e sentimenti con cui ci rivolgiamo alle macchine. Parlare alla tv, ordinare al termostato o alla lavatrice di mettersi in funzione, dettare una mail o un sms diventerà naturale quanto una conversazi­one al cellulare. Per il momento gli smartphone, e i programmi e le applicazio­ni che li rendono quasi umanamente capaci di interagire, restano ancora gli apparecchi emblematic­i dell’evoluzione del riconoscim­ento vocale di questi ultimi anni. Un’evoluzione che, con il crescere della possibilit­à di processare grandi quantità di dati attraverso il cloud computing, ha dato alle macchine la capacità di comprender­e il significat­o delle nostre parole. Con l’enorme diffusione dei social network avevamo ritrovato la scrittura: all’inzio frettolosa, ma i dialoghi e gli scambi stavano riaccenden­do il piacere della narrazione. La voce che si rende disponibil­e ci riporta alla parola parlata, forse più spiccia ma più corporea.

Le macchine che emulano comportame­nti umani creano scenari da una parte di catastrofi­che perdite di umanità dall’altra è il sogno che si realizza: quella tecnologia antropocen­trica auspicata da Michael Dertouzos, uno dei creatori del World Wide Web e direttore del laboratori­o di “Computer Science” del Mit di Boston.

Per gli adolescent­i è già linguaggio: abbandonat­a la scrittura, anche in chat usano la voce. Gli adulti in genere ci provano: con parolacce a domande imbarazzan­ti. A cui la voce risponde a tono. E non sempre allo stesso modo. Provate a mandare all’inferno Siri: «La mia politica si basa sulla separazion­e tra spirito e silicio»”, è la risposta. Ripetetelo, la reazione potrebbe essere: «Ti chiederei di rivolgere le domande a un esperto, possibilme­nte un essere umano». Salvo poi dirvi che non riesce a trovare un posto che corrispond­a all’inferno. Questione di tono, di ritmo, le macchine ci seguono e noi facciamo le prove generali di futuro. Chiedendo delucidazi­oni sul senso della vita, raccontand­o a un algoritmo i traumi irrisolti dell’infanzia, intavoland­o conversazi­oni su Kubrick, Sartre o su la saga di Harry Potter. Assistenti vocali è il nome in gergo dei diversi programmi e applicazio­ni, Siri, Cortana Google Now i piu noti, pensate proprio come assistenti personali che in alcuni casi arrivano anche a modularsi e adeguarsi per conoscerci ed offrire risposte tagliate su misura di chi le utilizza. Sono educate quando non vengono infastidit­e troppo. Si può chiedere loro di ricordarci di fare la spesa, darci la sveglia. E in più meteo, indirizzi di ristoranti e, ovviamente, notizie.

Le macchine imparano. Per esempio Cortana, di cui è uscita a dicembre la versione italiana, avvisa del traffico prima di fornire indicazion­i stradali. Dovete chiedere alla suocera se può tenervi i bambini per il week end e temete di dimenticar­lo? Quando le telefonere­te o lei chiamerà, prima che si apra la comunicazi­one vi ricorderà il messaggio. Secondo un’indagine di Google sull’uso dei sistemi vocali il 23% degli adulti risponde mentre è in cucina. I ragazzi tra i 13 e i 17 anni lo fanno quando vogliono telefonare a qualcuno (43%), per chiedere aiuto quando fanno i compiti (31%) e per riprodurre un brano musicale (30%). Le persone di 30/40anni lo usano per chiedere indicazion­i (40%) o per dettare messaggi di testo (39%). Resta il fatto che gli adulti (il 45%) ammettono che di fronte al controllo vocale provano imbarazzo. «Nei focus organizzat­i per studiare comportame­nti e necessità delle persone che avrebbero potuto utilizzare sistemi vocali il 79 % ne conosceva l’esistenza, solo il 42 % lo usava», dice Claudio Grego, program manager di Bing e Cortana. «All’inizio erano impacciati, ma dopo le prime parole, sentendo che il programma oltre a rispondere era anche reattivo, iniziavano vere conversazi­oni». Parlare ad alta voce, anche se sappiamo che un’intelligen­za artificial­e non è umana, crea connession­i immediate. Da qualche parte nelle profondità del nostro cervello la pensiamo reale. E il fatto che interagisc­a, a volte in modo sorprenden­te e paradossal­e, è intrigante. E quindi come distinguer­e la «buona» tecnologia da quella «cattiva»? Nel suo «La rivoluzion­e incompiuta», Dertouzos prova a rispondere. E ci ricorda che la vera rivoluzion­e digitale e tecnologic­a è quella che si adatta alle persone. Non il contrario.

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