E davanti all’ex Comit parte Bella ciao
Dalle 15 mensilità al precariato, il declino di quello che una volta era «il lavoro sicuro»
È finita con le note di Bella ciao che risuonavano in piazza della Scala proprio davanti a quella che è stata la sede della mitica Comit di Raffaele Mattioli e oggi ospita «Le Gallerie d’Italia», il museo della collezione artistica di Intesa Sanpaolo. Si è chiuso così un battagliero corteo di circa 4 mila bancari che ha sfilato, forse per la prima volta, per le vie del centro di Milano, gridando di fatto un solo slogan, «Contratto, contratto». Quelli che una volta erano i titolari di un solido (e invidiato) posto fisso, quelli che ogni mamma d’Italia avrebbe voluto come generi, oggi si sentono in estremo pericolo non solo perché l’Associazione bancaria non ha alcuna intenzione di rinnovare il contratto nazionale ma perché temono che l’emorragia di lavoro non sia finita. Anzi.
Venti anni fa un banchiere, Gianni Zandano presidente del S.Paolo di Torino, vaticinò che le banche sarebbero state la nuova siderurgia ovvero avrebbero vissuto un lungo calvario di ristrutturazioni e ridimensionamenti pari a quello dell’industria del ferro. Di posti ne sono stati già persi 68 mila, secondo i dati del leader della Fabi Lando Maria Sileoni e altri 50 mila sarebbero a rischio, almeno a sentire quello che nei corridoi i banchieri sussurrerebbero ai sindacalisti. Intanto però la lotta per il contratto va avanti senza risultati da 14 mesi, ieri si trattava del secondo sciopero delle banche e altri sembra proprio che ne verranno a breve perché «il taglio degli scatti di anzianità non si può proprio accettare».
A testimoniare l’importanza che i sindacati confederali assegnano alla lotta dei bancari in piazza della Scala il comizio finale è stato affidato al numero uno della Cgil, Susanna Camusso. In corteo l’età media oscillava tra i 45 e i 50 anni, le donne erano almeno un terzo, le pettorine nere con la scritta «Io non sono un banchiere» si mischiavano con quelle color arancio del servizio d’ordine, tanti cappelli di lana infilati per esorcizzare il freddo finivano per costruire l’immagine del bancario-proletario.
Le puntate polemiche più aspre sono state riservate al presidente dell’Abi, Antonio Patuelli e al vice con delega alle relazioni sindacali Alessandro Profumo, i cartelli li raffiguravano addirittura come «pirati dei Caraibi». A differenza dei tradizionali cortei operai quello dei bancari però non brillava per creatività. Una buona quantità di fischietti, qualche tamburo, cinque mimi sui trampoli come eterno simbolo di «lorsignori», gli striscioni della grandi banche (Intesa Sanpaolo, Unicredit e Monte dei Paschi) e i cartelli dei dipendenti delle banche popolari terrorizzati dal decreto del governo.
Bandiere rosse, dunque, ma anche quelle celesti della Fabi, sindacato autonomo dei bancari oggi perfettamente allineato con i confederali. Qua e là negli altri striscioni e nei cartelli si poteva leggere la parola «esternalizzazione», provvedimento padronale terrore del bancario medio che non vuole lasciare l’azienda madre e traslocare in unità organizzative più flessibili.
Al momento dei discorsi finali, sul camion allestito dai sindacati a mo’ di palco, è salito il segretario Sileoni. È parso persino emozionato dalla circostanza e così ha esordito con un’ardita metafora tra la Milano dei giorni della merla e il film «Il cielo sopra Berlino». Per lui i bancari in sciopero sono come gli angeli che il regista Wim Wenders volle collocare sulla porta di Brandeburgo ad ascoltare il disagio del popolo.
Camusso ha evitato voli pindarici e assonanze cinematografiche, è stata più al sodo. C’era da picchiare e questo le viene bene. Il lavoro non può essere trattato come un derivato, il decreto sulle banche popolari alla Cgil non piace neanche un po’, il governo ha fatto tanti regali agli istituti di credito e i nostri banchieri «prendono di stipendio più di Draghi». Rispetto a chi l’aveva preceduta la leader della Cgil ha distribuito rampogne equamente tra Abi (Associazione bancaria Italiana) e governo e ha fatto capire che già dai prossimi giorni i sindacati potrebbero chiedere ai ministri di Renzi di schierarsi. O quantomeno di non defilarsi.
La canzone di Nanni Svampa del 1966 Io vado in banca, stipendio fisso, così mi piazzo e non se ne parla più. L’utilitaria la compro a rate e per l’estate mi faccio un vestito blu
(da «Io vado in banca» dei Gufi con Nanni Svampa)