Corriere della Sera

Anna, l’anziana uccisa nella casa dove regna il racket degli abusivi Così è stato preso l’assassino

- Gianni Santucci

Alle 18.05 del 28 marzo 2014 la signora Anna Di Vita alza la cornetta del telefono e chiama una società di televendit­e. La signora ha 80 anni, vive in via dei Giaggioli, le strade hanno i nomi dei fiori ma attraversa­no uno dei quartieri più disastrati della periferia milanese, il lembo estremo del Lorenteggi­o. Palazzine popolari, intonaci scrostati, occupazion­i abusive, gruppi di rom che hanno lasciato gli accampamen­ti e si sono presi due interi caseggiati.

L’interno della casa della signora Di Vita è un’oasi protetta e pulita in quel pezzo di città alla deriva. Il pavimento lucido, il servizio di ceramica dentro il mobile a vetri del salone, la cucina in ordine. Quel pomeriggio Anna Di Vita parla per 14 minuti con un operatore dell’azienda: le televendit­e sono la compagnia dei suoi pomeriggi e i gioielli ordinati per posta l’unico vezzo che si concede. Da quella chiamata in poi, il suo telefono squillerà sempre a vuoto. Tredici giorni dopo, nella tarda mattina del 10 aprile, un’incaricata dei servizi sociali che deve accompagna­rla in ospedale trova la porta aperta. Il cadavere di Anna Di Vita è a terra, a mezzo metro dall’ingresso, un livido sulla fronte, l’ordine della casa sconvolto da qualcuno che ha rovistato nei

cassetti e negli armadi. abitanti al Corriere durante un’inchiesta sulle case popolari dello scorso autunno: «Qui ci sono anche gli sciacalli, piccoli balordi che gravitano in zona e quando raccolgono la voce che un anziano è deceduto vanno a fare razzia nella sua casa». che spiega quali fossero le piccole ansie quotidiane dell’anziana in quel quartiere: «Aveva un orologio con il quadrante color oro, l’ho aiutata spesso a indossarlo, mi chiedeva di stringerlo forte perché aveva paura che glielo rubassero». E poi un altro oggetto, una collana d’oro a maglie larghe, con una medagliett­a che raffigura la Madonna: «La portava sempre al collo, anche quando era in pigiama».

I poliziotti girano il quartiere; in un « compro oro » di un’altra strada diroccata che porta un nome di fiori, via dei Biancospin­i, trovano traccia della collana con la medagliett­a. A venderla per qualche decina di euro non è stato Liusnea, ma qualcuno dei piccoli ricettator­i che bazzicano la zona. Quasi tutti immaginano chi siano, al Lorenteggi­o: «Bisognereb­be andare a bussare laggiù», dicono. E fanno cenno a un palazzo popolare occupato all’inizio di via Segneri, in cui I sopralluog­hi Gli inquirenti nell’appartamen­to di via dei Gaggioli 9, nel quartiere Lorenteggi­o di Milano, dopo l’omicidio dell’ottantenne Anna Di Vita

Tensione

Poliziotti sorveglian­o le operazioni di sgombero in via Lorenteggi­o di alcuni alloggi popolari occupati abusivamen­te: in questa zona, teatro di tensioni, abitava Anna Di Vita e qui avrebbe agito la banda accusata di avere preso di mira anziani che vivevano soli per poi derubarli nessun milanese vive più, le donne e i bambini rom si muovono sempre sui ballatoi, gli uomini si spostano su fuoristrad­a da 50 mila euro con targhe tedesche o francesi. O il palazzo all’altro capo della strada, che a metà settembre viene sgomberato dagli occupanti, tutti abusivi, perché è pericolant­e. Qualche giorno prima è crollato un balcone, e solo per un caso nessuno passava là sotto.

In questa città cadente Anna Di Vita non usciva mai, si faceva consegnare la spesa dall’Esselunga, teneva linda la sua casa. La ricerca del suo assassino è stata una grande inchiesta di polizia affondata nel disastro sociale nella periferia.

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Per trovare l’assassino della signora Di Vita sono fondamenta­li anche gli accertamen­ti tecnici. Andando a ritroso con l’analisi dei tabulati telefonici, gli investigat­ori si accorgono che il cellulare dell’anziana si è riacceso alle 14.46 del 31 marzo (dieci giorni prima che fosse ritrovato il cadavere). Dentro l’apparecchi­o però non c’è più la sim intestata alla donna, ma una nuova scheda romena. Un paio di investigat­ori impiegano giorni e giorni per seguire tracce e triangolaz­ioni intorno a quella nuova sim; lavoro complesso, perché il telefono viene acceso e spento di continuo, viene prestato, passa di mano.

Col passare del tempo tutti gli elementi convergono però su Constantin Liusnea, e così il pubblico ministero che ha coordinato l’inchiesta, Luisa Baima Bollone, chiede l’arresto del ragazzo. Tre giorni dopo l’omicidio lui però si era imbarcato su un volo Ryanair BergamoAte­ne. Due giorni fa arriva la chiamata dalla polizia greca: «È stato fermato».

Più che di una rapina violenta, la signora Di Vita aveva paura delle occupazion­i abusive. L’ha raccontato la sua unica amica, un’anziana che vive nello stesso palazzo: « Di notte ogni tanto sentivamo rumori alla porta. Pensavamo fossero ladri. Invece erano tentativi di occupazion­e. Così abbiamo iniziato a dormire con una luce accesa in bagno. Dal quel momento non ci hanno più disturbato».

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(Newpress)
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