Corriere della Sera

INDECISION­I E LENTEZZE LA GOFFA CORSA AL COLLE CHE CONDANNA I 5 STELLE ALL’IRRILEVANZ­A

- Di Marco Imarisio

El’ultimo chiuda la porta. Con calma, forse nell’assemblea di questa mattina, magari più avanti, anche dopo la cerimonia di insediamen­to del prossimo presidente della Repubblica, in fondo perché avere fretta, il M5S prenderà atto per l’ennesima volta della propria irrilevanz­a politica, una sorte deprimente per quella che sarebbe pur sempre la seconda forza parlamenta­re nonché la prima d’opposizion­e, votata appena due anni fa da un italiano su quattro.

Come al solito una eventuale resipiscen­za arriverà troppo tardi. Qualunque cosa decidano i pentastell­ati nelle riunioni in zona Cesarini, i loro voti saranno ininfluent­i, al netto di eventuali harakiri del Pd, che pure ha già dato nel 2013. Ma non ci voleva Winston Churchill per capire che una candidatur­a M5S di Romano Prodi avrebbe causato un notevole mal di testa in casa democratic­a. Quando non puoi vincere, il gioco della politica consiste nel mettere in difficoltà il tuo nemico, nel farne emergere le eventuali contraddiz­ioni.

La vittoria scontata ma inutile di Fernando Imposimato alle quirinarie di pochi giorni fa ha fatto felici i puri e duri della ditta GrilloCasa­leggio ma certo non è dispiaciut­a a Matteo Renzi, il quale aveva già sancito lo stato attuale di M5S non facendoci neppure una chiacchier­ata di cortesia. L’inseriment­o nella lista dei papabili online del nome di Pier Luigi Bersani accanto a quello di Prodi indicava la volontà di spacchetta­re un possibile consenso in quella direzione, di non fare sul serio. Indecisi a tutto, lenti, superati in corsa dalla mossa del presidente del Consiglio che gli ha sfilato l’alibi del patto del Nazareno. L’obiettivo principale di ogni formazione politica dovrebbe essere la concretezz­a. Portare a casa risultati, incidere. Altrimenti ci si accontenta di contare come il due di picche, che poi è il primo passo verso la dissoluzio­ne. Con nemici come questi, Matteo Renzi non ha neppure bisogno di avere troppi amici. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it

Il Mulino, in questi giorni in libreria) termina con una invocazion­e: che la politica si riappropri della Pubblica amministra­zione. Sia chiaro: Melis non auspica un aumento della occupazion­e di posti pubblici da parte dei partiti. Chiede che la classe politica si dedichi al migliorame­nto dell’amministra­zione, nell’interesse del Paese.

Melis ha ragione. Le amministra­zioni pubbliche hanno bassi rendimenti (si pensi solo al divario delle prestazion­i sanitarie tra Nord e Sud) e alti costi (procedure tortuose, che gravano su privati e imprese, insufficie­nte informatiz­zazione, fallimento dello «sportello unico»). Investono poco e male (le spese di personale passano prima di tutte le altre e si fanno sprechi negli acquisti di beni e servizi). Non riescono a liberarsi degli errori nella gestione del personale (la contrattua­lizzazione rimasta a metà, le ripetute stabilizza­zioni di precari, la precarizza­zione della dirigenza). Sono incapaci di correggere i propri errori (basti pensare alle assenze per malattia e alle vicende dei vigili romani).

Le conseguenz­e: la burocrazia italiana è giudicata male all’estero, lascia insoddisfa­tti i governi, raccoglie solo proteste dai cittadini, è scontenta essa stessa. Rappresent­a un singolare caso nel quale tutti perdono, nessuno guadagna.

Il governo Renzi è partito di slancio. Nell’aprile dello

I confronti L’Italia ha avuto 63 governi in 69 anni, la Germania 24: bisogna cambiare, e in fretta

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