INDECISIONI E LENTEZZE LA GOFFA CORSA AL COLLE CHE CONDANNA I 5 STELLE ALL’IRRILEVANZA
El’ultimo chiuda la porta. Con calma, forse nell’assemblea di questa mattina, magari più avanti, anche dopo la cerimonia di insediamento del prossimo presidente della Repubblica, in fondo perché avere fretta, il M5S prenderà atto per l’ennesima volta della propria irrilevanza politica, una sorte deprimente per quella che sarebbe pur sempre la seconda forza parlamentare nonché la prima d’opposizione, votata appena due anni fa da un italiano su quattro.
Come al solito una eventuale resipiscenza arriverà troppo tardi. Qualunque cosa decidano i pentastellati nelle riunioni in zona Cesarini, i loro voti saranno ininfluenti, al netto di eventuali harakiri del Pd, che pure ha già dato nel 2013. Ma non ci voleva Winston Churchill per capire che una candidatura M5S di Romano Prodi avrebbe causato un notevole mal di testa in casa democratica. Quando non puoi vincere, il gioco della politica consiste nel mettere in difficoltà il tuo nemico, nel farne emergere le eventuali contraddizioni.
La vittoria scontata ma inutile di Fernando Imposimato alle quirinarie di pochi giorni fa ha fatto felici i puri e duri della ditta GrilloCasaleggio ma certo non è dispiaciuta a Matteo Renzi, il quale aveva già sancito lo stato attuale di M5S non facendoci neppure una chiacchierata di cortesia. L’inserimento nella lista dei papabili online del nome di Pier Luigi Bersani accanto a quello di Prodi indicava la volontà di spacchettare un possibile consenso in quella direzione, di non fare sul serio. Indecisi a tutto, lenti, superati in corsa dalla mossa del presidente del Consiglio che gli ha sfilato l’alibi del patto del Nazareno. L’obiettivo principale di ogni formazione politica dovrebbe essere la concretezza. Portare a casa risultati, incidere. Altrimenti ci si accontenta di contare come il due di picche, che poi è il primo passo verso la dissoluzione. Con nemici come questi, Matteo Renzi non ha neppure bisogno di avere troppi amici. Su Corriere.it Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it
Il Mulino, in questi giorni in libreria) termina con una invocazione: che la politica si riappropri della Pubblica amministrazione. Sia chiaro: Melis non auspica un aumento della occupazione di posti pubblici da parte dei partiti. Chiede che la classe politica si dedichi al miglioramento dell’amministrazione, nell’interesse del Paese.
Melis ha ragione. Le amministrazioni pubbliche hanno bassi rendimenti (si pensi solo al divario delle prestazioni sanitarie tra Nord e Sud) e alti costi (procedure tortuose, che gravano su privati e imprese, insufficiente informatizzazione, fallimento dello «sportello unico»). Investono poco e male (le spese di personale passano prima di tutte le altre e si fanno sprechi negli acquisti di beni e servizi). Non riescono a liberarsi degli errori nella gestione del personale (la contrattualizzazione rimasta a metà, le ripetute stabilizzazioni di precari, la precarizzazione della dirigenza). Sono incapaci di correggere i propri errori (basti pensare alle assenze per malattia e alle vicende dei vigili romani).
Le conseguenze: la burocrazia italiana è giudicata male all’estero, lascia insoddisfatti i governi, raccoglie solo proteste dai cittadini, è scontenta essa stessa. Rappresenta un singolare caso nel quale tutti perdono, nessuno guadagna.
Il governo Renzi è partito di slancio. Nell’aprile dello
I confronti L’Italia ha avuto 63 governi in 69 anni, la Germania 24: bisogna cambiare, e in fretta