Il mercato del lavoro non è ripartito, specie per i giovani. Ma ci sono indicatori positivi. Che non vanno dispersi
Adicembre 2014 l’occupazione è cresciuta di 93 mila unità: così apprendiamo dal comunicato dell’Istat reso noto ieri. Buona notizia? Certamente sì, ma non esageriamo. Tutto dipende dai termini di confronto. Il segnale è positivo rispetto a novembre e ottobre, in cui si era registrato un calo più o meno pari all’aumento di dicembre. Se poi guardiamo agli ultimi dodici mesi, oggi il totale degli occupati è di poco superiore al dato di un anno fa. Niente euforia dunque: il nostro mercato del lavoro non è ancora ripartito. E questo vale soprattutto per i giovani. È vero che diminuiscono un po’ i disoccupati. Ma solo perché aumentano gli inattivi, ossia i giovani che il lavoro non lo cercano neppure.
Se il raffronto viene fatto con il resto d’Europa, il panorama peggiora ulteriormente. Oltre a quello dell’Istat, ieri è uscito anche un comunicato di Eurostat. Nella seconda riga, in grassetto, si legge che a dicembre 2014 il tasso di disoccupazione dell’eurozona si è attestato intorno all’ 11,4%, il più basso dall’agosto 2012. Come europei possiamo tirare un respiro di sollievo: la ripresa sta arrivando, anche in termini di posti di lavoro. Ma come italiani ci tocca rimanere ancora col fiato sospeso. Siamo al 12,9% di senza lavoro e dunque fra i Paesi messi peggio, superati solo da Ungheria, Cipro, Spagna e Grecia. Non proprio una compagnia di avanguardisti sul piano dell’efficienza, della competitività, delle riforme strutturali. La Germania ha una disoccupazione del 4,8%, l’Olanda del 6,7%, la Finlandia dell’8,9%: quando i governi di questi Paesi ci dicono che loro sono virtuosi, non è solo una questione di supponenza.
Per attenuare lo sconforto dobbiamo guardare ad altri indicatori. Innanzitutto i dati sulla Cassa integrazione: le ore non lavorate stanno diminuendo. Le grandi imprese che assumono sono pochissime, ma la maggioranza ha riacceso i motori dopo la lunga recessione e comincia a riassorbire i lavoratori sospesi. Succede soprattutto nell’edilizia e nelle attività finanziarie e assicurative. Per quanto riguarda i giovani, il (piccolo) segnale positivo riguarda i cosiddetti Neet, gli inattivi fra 15 e 29 anni che non studiano e non cercano lavoro (ce ne sono più di due milioni). Più di 300 mila si sono fatti avanti negli ultimi mesi iscrivendosi al programma Garanzia giovani, co-finanziato dall’Unione Europea. Vuol dire che un po’ di Neet sono motivati e in qualche modo si fidano dei servizi per l’impiego. Speriamo di non deluderli.
Il grande buco nero è sempre il Sud. Quest’area ha una popolazione ben superiore a quella della Grecia, la grande malata d’Europa. Ma le nostre regioni meridionali hanno una disoccupazione (soprattutto giovanile) molto più elevata: il record europeo in negativo.
Purtroppo il tessuto produttivo del Mezzogiorno resta debole, la domanda di lavoro è bassa. I giovani preparati emigrano, più del 20% dei ragazzi e delle ragazze abbandonano la scuola dopo la terza media, alcuni anche prima. Il capitale umano si deteriora e così si perpetua il circolo vizioso del sottosviluppo. In tanta desolazione, c’è da segnalare, per fortuna, un dato positivo: stanno aumentando le start-up innovative. Si tratta di società di capitale nate per sviluppare, produrre e commercializzare beni o servizi ad alto contenuto tecnologico. Fra giugno e novembre 2014 questo tipo di imprese è cresciuto del 45% al Sud rispetto al 32% del CentroNord. Il numero assoluto è ancora basso (poco più di 600 società) e il contributo occupazionale è, corrispettivamente, modesto. Ma è un primo, piccolo segnale di vitalità, che va apprezzato e coltivato.
Per il rilancio dell’occupazione nello scorso dicembre il governo ha varato, come sappiamo, il Jobs act. I primi decreti delegati sono all’esame del Parlamento e speriamo che diventino presto operativi. Non aspettiamoci miracoli, ma per le imprese diventerà più facile assumere. Con il cosiddetto Investment compact sono state poi introdotte alcune promettenti misure di politica industriale. L’ottimismo della volontà che caratterizza il nostro presidente del Consiglio e il susseguirsi di idee, annunci e proposte sono sicuramente apprezzabili: a volte le profezie si autoavverano. La ragione raccomanda tuttavia prudenza nelle aspettative e nei commenti. E soprattutto una maggiore capacità nell’azione concreta di governo: progetti più meditati e articolati, più efficienza ed efficacia nell’attuazione.